Nel Centro Malattie del Rush Alzheimer, il professor Bryan James, capo ricercatore, ha condotto un’interessante ricerca sugli effetti prodotti da un’intensa vita sociale che, secondo i risultati ottenuti, influirebbe positivamente sul declino cognitivo e sull’insorgere dell’Alzheimer.
Lo studio condotto ha mostrato come l’isolamento sociale, che per gli anziani sempre più spesso diventa una condizione del vivere quotidiano, sia la prima causa dei sintomi della regressione cognitiva che porta all’ulteriore isolamento e alla chiusura verso una vita piena e intensa: come andare ai party, incontrare gli amici, godersi una gita in montagna, iscriversi ai club che promuovono attività sociali o magari coltivare un orto, come ha evidenziato un recente studio. Il continuo stimolo delle reti neurali, prodotto da queste attività sociali, fa sì che le sinapsi del cervello rimangano attive seguendo in principio “use it or lose it”, tradotto letteralmente: “o le usi o le perdi”. La socialità diventa così una palestra per la mente, dove le interrelazioni con le persone rappresentano i primi “attrezzi” da usare per contrastare l’insorgere dell’Alzheimer.
Lo studio ha coinvolto ben 1.138 soggetti di età media di 80 anni che già partecipano a uno studio in corso sulle condizioni croniche dell’invecchiamento (Rush Memory and Aging Project). Misurando l’attività sociale attraverso un questionario, che ha chiesto ai soggetti interessati quanto spesso partecipassero ad attività sociali, si è riusciti a valutare le funzioni cognitive utilizzando una batteria di 19 prove per vari tipi di memoria (memoria episodica, semantica e di lavoro). All’inizio dell’indagine tutti i partecipanti erano privi di segni di regressione cognitiva, ma dopo cinque anni, chi tra loro si era mantenuto socialmente attivo ha mostrato tassi di riduzione del decadimento cognitivo. In media chi, tra i soggetti studiati, manifestava un’intensa vita sociale faceva registrare solo un quarto del declino cognitivo. L’interessante studio condotto è stato pubblicato online dal Journal of the International Neuropsychological Society di Cambridge.
[Fonte: JINS ]