Quando si parla di malattie reumatiche autoimmuni sono diversi i fattori del quale tenere conto. Soprattutto se si parla di condizioni di vita. Perché ciò che talvolta viene presentato dalle ricerche, realtà “controllate” e di un certo standard, può anche non corrispondere alla verità. Soprattutto per ciò che concerne l’efficacia delle terapie.
Proviamo a fare il punto della situazione attraverso le parole del presidente della Società Italiana di Reumatologia. Quando si parla di terapie farmacologiche, per stabilirne la reale efficacia, specialmente se si parla di un protocollo in uso ormai da diversi anni, non si può non tenere in considerazione quelli che sono i cambiamenti negli stili di vita e nelle abitudini dei malati. Parliamo pur sempre di patologie come l’artrite reumatoide, artrite psoriasica e di spondilite anchilosante, tanto per citarne alcune, che in Italia colpiscono almeno mezzo milione di persone.
Come spiega il prof. Giovanni Minisola, il presidente della Sir:
I farmaci biologici anti-TNF (etanercept, infliximab e altri) hanno migliorato molto la terapia, ma le sperimentazioni cliniche di cui sono stati oggetto non permettono di verificare che effetti hanno, nel lungo periodo, sulla “real life”, la vita vera dei pazienti.
Per colmare questo vuoto di “realtà” sono nati i registri delle malattie reumatiche autoimmuni che, come sottolinea il luminare, “seguono i malati negli anni, valutando efficacia, eventi avversi, qualità della vita e altri parametri”.
In Italia attualmente ne esistono tre: Monitor-net, Lorhen (esclusivo della sola Regione Lombardia) e Gisea. Quest’ultimo, spiegano gli esperti, si sta rivelando negli ultimi tempi di vitale importanza per capire quale sia la reale efficacia delle terapie e l’impatto delle stesse sui pazienti. Si tratta di un registro che sta continuamente “regalando” dati importanti relativi, ad esempio, ai pazienti affetti da obesità, per i quali i farmaci sembrano funzionare meno.
Il motivo risiederebbe nella maggiore presenza di adipochine, particelle che favoriscono l’infiammazione, facendo aumentare complessivamente il rischio di ammalarsi ma anche riducendo l’efficacia degli antinfiammatori. Un problema, che sottolineano gli esperti, vale anche per i falsi magri e che dovrebbe portare all’esecuzione, prima della terapia, di un test che valuti la presenza nel sangue di adipochine.
Il Gisea si è ultimamente rivelato molto utile anche nello studio degli effetti collaterali.
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Fonte: Corriere della Sera