C’è un insetto geniale, elegante nel volo come nel vestito, capace costruttore di affascinanti architetture e produttore di un formidabile alimento, usato in cucina, in cosmetica, in medicina. C’è un insetto – dicevamo – che rischia l’estinzione. E’ l’ape, un animale che – a causa del proprio “stile” di vita – si trova a soffrire più di altri gli effetti dell’inquinamento, della cementificazione e dell’impiego di prodotti chimici nell’agricoltura così come nella botanica.
Non bastasse questo elenco di terribili piaghe, ecco scoprire che la sua puntura può anche essere mortale per quei soggetti nei quali provoca lo shock anafilattico (una reazione spropositata del sistema immunitario che, nel caso specifico, può manifestarsi in seguito ad una puntura), e la conseguente campagna di sterminio “casereccio” fatto di spruzzi di DDT ed altre sostanze chimiche. Tutto questo è stato sufficiente per far “scivolare” le api – che noi siamo abituati ad immaginare in enormi sciami – nel novero delle specie “in pericolo”, al quarto livello (su sette) nella scala dello “stato di conservazione” delle specie.
Ma da un gruppo di scienziati svizzeri è giunta in questi giorni una speranza contro il pericolo di shock da puntura di ape, quindi anche una speranza per la salvaguardia di questo insetto che potrebbe ben presto finire di essere considerato un nemico piuttosto che – come è invece – un’importante risorsa di biodiversità. Se le api si salveranno, dunque, dovranno forse ringraziare anche gli scienziati dell’Università di Zurigo, che hanno scoperto come l’assunzione del veleno prodotto da questi insetti, se avviene in particolari momenti dell’anno, può immunizzare dal rischio di soffrire per i postumi delle punture, quando non addirittura scatenare violente reazioni allergiche.
Lo studio, pluriennale, è stato svolto su un gruppo-campione di apicoltori; si voleva comprendere come facessero questi soggetti a vivere a stretto contatto con le api senza mai rimanerne “colpiti”. Ebbene, si è scoperto che la “tribù” degli apicoltori presenta segni visibili di una risposta immunitaria alle punture di ape solo alla fine del mese di aprile, mentre durante gli altri mesi dell’anno il corpo diventava insensibile al veleno iniettato dalle api. Questo perché, si è scoperto, la “dose” di aprile portava alla produzione di un gruppo di cellule – definite T di regolamentazione – in grado di circoscrivere l’impatto della risposta immunitaria (a base di istamina) limitandolo alla zona interessata dalla puntura.
La ricerca, secondo gli autori, potrebbe portare a sviluppare trattamenti in grado di migliorare le condizioni delle persone inclini a sviluppare reazioni allergiche gravi come lo shock anafilattico. Basterà una puntura, un’iniezione di veleno d’ape in un particolare momento dell’anno, e gli agricoltori potranno tornare a lavorare in campagna con maggiore tranquillità, mentre per i simpatici insetti ci sarà un nemico in meno da affrontare.