Con l’avanzare dell’età, il cervello dell’uomo si rimpicciolisce, a differenza di quello degli animali. A sostenerlo, è uno studio condotto di recente da un gruppo di ricercatori della George Washington University, di Washington D.C e pubblicato su “Proceedings of the National Academy of Science”.
La ricerca, coordinata dall’antropologo Chet Sherwood, si è concentrata sulle differenze a livello cerebrale tra gli esseri umani e gli scimpanzé, che tra le diverse specie animali, sono quelli che presentano caratteristiche più simili alle nostre. Il team di studiosi, così, ha preso in esame il cervello di 87 uomini di età tra i 22 e gli 88 anni, e quello di 99 scimpanzé di età compresa fra i 10 e i 51 anni. Dal confronto effettuato attraverso le risonanze magnetiche, è emerso come nell’uomo il cervello inizi a diventare più piccolo dopo gli 80 anni, con una riduzione di circa il 15% rispetto agli anni precedenti.
Inoltre, nelle persone che soffrono di malattie correlate con la demenza senile, come ad esempio il morbo di Alzheimer, la riduzione del cervello è ancora più significativa. l’Alzheimer, infatti, provoca un’alterazione delle funzioni cerebrali, danneggiando la memoria, le funzioni cognitive, con ripercussioni negative anche sull’umore, sull’orientamento spazio-temporale, sulla capacità di parlare e di pensare. Come spiega lo studio, infatti, l’invecchiamento colpisce in modo particolare la zona della corteccia cerebrale e vicino ad esso, dove si riscontra una minore capacità del cervello di inviare segnali al nostro corpo, come l’elaborazione dei pensieri o dei ricordi.
Secondo il parere degli esperti, gli esseri umani sarebbero maggiormente vulnerabili alle malattie correlate all’età rispetto agli scimpanzé semplicemente perché vivono più a lungo. Inoltre, la longevità umana, molto probabilmente, è il risultato di un adattamento derivante dall’avere un cervello di dimensioni maggiori.
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