La salute? Può dipendere anche dalla condizione sociale della persona. Un basso livello d’istruzione e posizioni sociali svantaggiose influiscono negativamente sull’organismo, portando diverse patologie a essere più frequenti e approcciate in modo sbagliato al fine della loro risoluzione. Ce lo racconta l’indagine dell’Istituto Superiore di Sanità “Passi”. Parliamo di fumo, sedentarietà ed obesità. Ma anche patologie respiratorie croniche e diabete: tutte malattie che è possibile trovare con minore frequenza in chi vive secondo alti livelli socio-economici.
Addirittura la laurea sembra rappresentare uno spartiacque importante in questa condizione. Lo stesso andamento medico-sociale è riscontrabile nella capacità di adesione a screening di prevenzione (come quello concernente il cancro della mammella, N.d.R.): le donne più istruite aderiscono con maggiore facilità.
Sono poche le eccezioni, tra le quali figura, ad esempio, la dipendenza da alcol: si tratta di una piaga molto più diffusa in chi ha un reddito più alto e può contare su un maggiore grado d’istruzione. I dati sono stati raccolti nel corso del triennio 2007-2009 su un campione di più di 98mila persone di età compresa tra i 18 ed i 69 anni.
Tra le diverse condizioni analizzate, vi è stata anche quella relativa alla pressione arteriosa ed alla presenza di diverse patologie croniche. Anche in questo caso, a rappresentare un evidente discriminante è ancora la condizione sociale: se si parla di bronchite cronica, diabete, asma, infarto ed addirittura tumori, chi soffre di molte difficoltà economiche sembra essere più colpito.
Cosa ci indica questo? Che quasi mai le persone con scarse possibilità hanno l’opportunità di seguire regimi comportamentali e sanitari in grado di consentire loro se non una prevenzione almeno una cura adeguata in seguito ad una diagnosi precoce. Il problema, oltre che nella frenesia delle persone dotate di scarsi mezzi di sopravvivere e quindi quasi “obbligate” a favorire il lavoro rispetto alla salute, consta anche nell’accesso a determinati trattamenti o screening.
Non è infatti corretto pensare che uno scarso tasso d’istruzione sia sinonimo d’ignoranza e menefreghismo in merito alle proprie condizioni fisiche. L’impossibilità di usufruire di determinate prestazioni mediche in privato porta ad allungamenti di tempo ed eventualità difficilmente gestibili da una persona che per andare avanti è costretta a scegliere le proprie priorità.
Un esempio importante è rappresentato dalla depressione. Secondo il rapporto Passi:
L’8% delle persone di età compresa tra 18 e 69 anni è risultata classificabile come persona con sintomi di depressione. Le donne hanno riferito sintomi depressivi in percentuale doppia rispetto agli uomini (11% contro 5%). La prevalenza di sintomi depressivi, in entrambi i generi, è maggiore tra le persone con un basso livello d’istruzione e con molte difficoltà economiche.
Dati che ci indicano, ed il discorso è valido per tutte le percentuali specifiche riscontrabili nel dossier dell’ISS, che sebbene le aspettative di vita e la mortalità rispettivamente salgano e scenda, la situazione nella sua interezza è più eterogenea e differenziata per condizione sociale rispetto a ciò che si pensa.
Qual è la vera sfida alla quale la sanità pubblica deve rispondere in questo caso? Nulla di più che il raggiungimento di una maggiore equità sociale. Se si riuscisse a dare a coloro più svantaggiati a livello economico il giusto sostegno sarebbe possibile dimezzare la loro permanenza in uno stato di salute svantaggioso, apportando non solo una miglioria nelle loro condizioni, ma al contempo risanando la situazione dell’intero settore. Agendo in maniera capillare si potrebbero eliminare le condizioni che portano alla determinazione dei fattori di rischio delle principali patologie, come il diabete, l’obesità e il cancro, portando ad un miglioramento generale della salute.
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Fonte: ISS