Il tumore della prostata limitato alla ghiandola e con bassa aggressività può essere trattato efficacemente anche con la brachiterapia. Questa tecnica può quindi essere proposta a tutti i pazienti affetti da adenocarcinoma prostatico localizzato con età avanzata, alto rischio anestesiologico e/o operatorio, a rischio per patologie trombo emboliche. Dice il professor Claudio Giberti
«Questa terapia innovativa, è comunque poco traumatica, permette una rapida ripresa dell’attività lavorativa e consente di ottenere percentuali di cura elevate con riduzione del rischio delle complicanze rispetto alla chirurgia tradizionale. Per esempio l’incontinenza urinaria o le stenosi uretrali sono inesistenti, mentre la ripresa della potenza sessuale è dell’80%. I disturbi minzionali sono presenti nel 40% dei casi anche per un mese, la ritenzione urinaria nel 15%, per cui la metodica rimane controindicata in presenza di un voluminoso adenoma prostatico»
La brachiterapia è una radioterapia in cui i “semi“, sotto forma di piccole capsule grandi come chicchi di riso, contengono sorgenti radioattive che si impiantano nella prostata con guida ecografica per via transperineale (la regione fra scroto e ano), in un’unica seduta operatoria di meno di 90 minuti.
La degenza è di due giorni con una precoce ripresa dell’attività lavorativa e la rimozione del catetere vescicale avviene entro 24 ore. Ciascun “seme” rilascia continuamente una piccola quantità di energia radiante ad una limitata porzione di tessuto prostatico: ciò consente di trattare il tumore con una dose di radiazione molto elevata senza danno per i tessuti vicini.
Dopo alcune settimane i “semi” avranno rilasciato la maggior parte della loro energia e resteranno per sempre nella prostata in forma inattiva, senza essere percepiti. Il prodotto più usato è il “Rapid Strand“, filiere di semi di 1-125 dell’ONCURA-AMERSFIAM: consente una dosimetria accurata evitando migrazioni dei semi nelle vie venose.