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Aids, in Italia la diagnosi è troppo lenta

Aids in Italia è quasi sempre sinonimo di diagnosi lenta. Il nostro paese appare essere il fanalino di coda dell’Europa nella gestione e nell’approccio a questa malattia, soprattutto per ciò che concerne la scoperta dei contagi.

In questo va detto, purtroppo un grande ruolo lo hanno sia la popolazione stessa che prende sottogamba l’eventualità del contagio praticando del sesso non sicuro e non avvalendosi dell’uso del preservativo, sia i medici che purtroppo in mancanza di un feedback onesto da parte dei pazienti non riescono a leggere i sintomi in modo tale da richiedere la sottomissione all’esame del sangue specifico per diagnosticare l’HIV. Inutile prendersi in giro: nel nostro paese manca la cultura della prevenzione per ciò che concerne l’Aids. In caso contrario, nel sottoporsi ai check up si coinvolgerebbero anche le analisi atte a diagnosticarlo.

Quando la diagnosi di HIV arriva, di solito lo fa quando la sintomatologia è molto evidente e quindi la malattia già in uno stadio capace di causare danni sensibili alla persona. I farmaci antiretrovirali sono utili, ma risultano ancora di più efficaci quando la terapia inizia precocemente e mantenere d bassa la carica virale nel sangue è più facile. Sebbene non ci piaccia fare statistica, due dati emersi dalla Conferenza italiana sull’Aids l’“Italian Conference on Aids and Retrovirus”, promossa dalla Società Italiana Malattie Infettive e Tropicali (Simit) ci hanno davvero colpito: la prima è che l’infezione da HIV sta crescendo anche in quelle categorie che si pensavano bene informate e attive nella prevenzione e che in alcune regioni in particolare, tra le quali figura anche il Lazio, il numero dei contagiati è più alto della media nazionale. Un brutto primato per la regione del centro Italia insieme ad Emilia Romagna e Lombardia: quest’ultima conta il numero maggiore di nuovi malati annuali, oltre il 25%.

Secondo gli esperti ad avere un ruolo chiave in questo pericoloso “disinteresse” è la conoscenza dell’esistenza di terapie all’avanguardia che ne consentono una gestione più facile rispetto al passato ed una maggiore sopravvivenza. E’ come se nella mente delle persone trovasse spazio la convinzione di possedere una sorta di “giubbotto di salvataggio” nei confronti del virus che non è tale.

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