Può dipendere da cattive abitudini oppure da fattori genetici e familíari. La quantità di colesterolo nel sangue è comunque una sentinella del rischio cardiovascolare e occorre monitorarne i livelli quando si eseguono gli esami del sangue periodici. Ne parliamo con la dottoressa Benedetta Majocchi, cardiologa in forza al Centro cardiologico Monzino di Milano. Quali sono e a che servono gli esami per il colesterolo?
Sono esami periodici che si eseguono per prevenire infarti e ictus perché livelli elevati di colesterolo sono correlati a un maggior rischio di eventi cardiovascolari. Sono utili per tenere in osservazione chi, da tali esami, ha un esito che non rientra nella norma, fatte però le dovute differenze. Sì, perché l’interpretazione del risultato può variare, per esempio, tra una persona sana e una che soffre di diabete. Sono semplici esami del sangue che si effettuano in qualsiasi laboratorio. Si misura il colesterolo totale e le percentuale di LDL e HDL. Il colesterolo LDL deve essere inferiore a 100 milligrammi per decilitro (mg/di) e per avere un quadro preciso va messo in relazione al totale del colesterolo. Però se ci sono anche altri fattori di rischio, come obesità o ipertensione, il valore considerato normale potrebbe anche essere inferiore.
Che cosa si intende esattamente quando si parla di colesterolo buono e cattivo?
È una distinzione non proprio corretta. Di solito si misura il colesterolo totale e la componente LDL, quella che porta il colesterolo verso le arterie ed è responsabile della loro ostruzione e della formazione di placche aterosclerotiche. Poi per differenza si calcola la componente HDL, la frazione che dalle arterie porta il colesterolo fegato e agisce da “spazzino”. La prima quota deve essere bassa, inferiore ai 100 mg/dl. Di conseguenza la quota della seconda componente dovrebbe essere elevata; se invece è troppo bassa non va bene, perché significa che la funzione di trasporto del colesterolo al fegato non viene svolta correttamente.
Se gli esiti degli esami sono fuori dalla norma come occorre comportarsi?
Ovviamente dipende dal fattore di rischio specifico del paziente e di quanto sono fuori dalla norma. Di solito per alterazioni non elevate si agisce non con una terapia, ma cercando di incidere sulle abitudini. Per esempio, se il risultato è 270 per il colesterolo totale invitiamo il paziente a seguire una dieta povera di dolci, di grassi, di formaggi e proponiamo di svolgere dell’esercizio fisico. Però se la situazione non migliora nel giro di 3-4 mesi si propone una terapia farmacologia valutando sempre il fattore di rischio, che tiene conto per esempio dei valori della pressione ed è diverso di solito tra donne e uomini.
La terapia farmacologia prevede l’uso di una classe di farmaci, le statine: agiscono inibendo l’enzima che produce il colesterolo. Come tutte le terapie, anche questa può dare effetti collaterali, per esempio ci possono essere alterazioni della funzione epatica. Occorre quindi monitorare continuamente il paziente quando assume questi farmaci.