La stagione dell’anziano si associa sempre più spesso alla parola farmaco. Sono infatti fortunatamente disponibili sempre più medicinali che contribuiscono a tenere sotto controllo le piccole o grandi defaillance che possono interessare un organismo non più giovane. Fortunatamente oggi esiste una pillola per qualsiasi cosa. O quasi. Per le problematiche più gravi come depressione, pressione bassa, pressione alta, aritmie cardiache, respiratoria, e per quelle più lievi come allergie di stagione, mai di testa, mal di gola, e simili, c’è una sconfinata disponibilità di farmaci. Ciò è sicuramente positivo, ma comporta anche il rischio di abuso.
Tra gli anziani si riscontrano con maggiore frequenza casi più o meno accentuati di ipocondria: persone che assumerebbero farmaci ad ogni più piccolo segnale di possibile problema di salute. Fino ad arrivare a non vivere più la quotidianità senza una pillola colorata da ingoiare o senza una bustina da sciogliere nel bicchiere subito dopo il pasto. E al contrario, dicono gli esperti, si trovano casi di estrema ereditarità a tutto ciò che è medicinale o terapia: persone che, a quanto affermano, non hanno mai fatto uso di farmaci e che non li considerano, per cultura o tradizione, un reale aiuto per risolvere altrettanto reali problemi di salute.
Ecco i tre principali rischi o effetti collaterali: rischio di sovraccarico per il fegato, uno dei principali organi deputati al metabolismo dei medicinali; rischio di sviluppare reazioni avverse dovute all’interazione tra farmaci diversi, rischio di sovradosaggi o sottodosaggi, che possono determinare intossicazioni o inefficacia delle terapie. Perché si possono verificare queste evenienze? Quali sono le cause e chi sono i colpevoli? Difficile pronunciare sentenze di condanna per imputati precisi.
In questi casi è più corretto, dal punto di vista scientifico, parlare di circostanze e concause che favoriscono lo svilupparsi di situazioni sfavorevoli. Esistono, soprattutto tra i pazienti oncologici, ma non solo, situazioni che richiedono l’assunzione di 20 o più medicinali nell’arco di una sola giornata. A volte tutti diversi, a volte in parte diversi e in parte gli stessi che devono essere assunti ad orari ben definiti, come se la giornata fosse scandita dal momento in cui prendere la pasticca o il cucchiaio di sciroppo. Il tutto può essere più o meno complicato a seconda che il paziente sia in ospedale o in ambiente domestico, che sia solo o assistito da un infermiere o da un familiare, figure che gli anglosassoni chiamano caregiver, vale a dire “fornitori di cure“.
Eppure, sottolineano con rammarico gli addetti ai lavori, in Italia il caregiver è una figura ancora poco diffusa, lasciata alla sensibilità delle singole Asl. L’auspicio è che nel prossimo futuro anche da noi le strutture sanitarie si attrezzino per fornire questo tipo di servizio.