Obiezione di coscienza ed aborto: come deve la prima applicarsi sul secondo? Vi sono dei limiti ben precisi che devono essere rispettati per non mettere a repentaglio la vita dei pazienti. E sono segnati con semplicità e chiarezza dalla stessa legge 194 nella parte relativa all’interruzione di gravidanza.
Una piccola premessa è necessaria: l’aborto è una procedura, terapeutica o meno, compresa tra le mansioni di un ginecologo. E questo è un fatto innegabile che dovrebbe portare a pensare coloro che non se la sentono di affrontarla, se effettivamente sia stata intrapresa una giusta scelta professionale a monte ben sapendo il proprio lavoro in cosa sarebbe potuto constare. Legislativamente parlando, una sentenza della Corte di Cassazione ha sottolineato come sebbene la legge 194 riconosca a chi sceglie l’obiezione di coscienza il diritto di rifiutare di eseguire un aborto in via chirurgica o farmacologica, al professionista manca l’autorizzazione, e si cita testualmente dalla decisione della Suprema Corte, di “omettere di prestare l’assistenza prima, ovvero successivamente ai fatti causativi dell’aborto, in quanto deve comunque assicurare la tutela della salute e della vita della donna, anche nel corso dell’intervento di interruzione della gravidanza”.
Questo significa che se si verifica un fatto avverso nel corso dell’aborto, sia esso volontario o meno, il medico è tenuto ad intervenire: il diritto di esonero dall’approcciare la procedura non sussiste più. Anche se per salvare la paziente deve il ginecologo comunque intervenire sull’aborto stesso. Tutto ciò viene a dare una completa spiegazione a quello che è l’articolo 9, comma 3 della Legge 194/78 :
L’obiezione di coscienza esonera il personale sanitario ed esercente le attività ausiliarie dal compimento delle procedure e delle attività specificamente e necessariamente dirette a determinare l’interruzione della gravidanza, e non dall’assistenza antecedente e conseguente all’intervento.
Comma che indicava ad ogni modo che il sanitario obiettore era tenuto ad assistere la propria paziente prima e dopo l’intervento. E’ necessario chiedersi quindi, a questo punto, quanto effettivamente l’obiezione di coscienza possa e debba ancora essere accettata in pratiche come l’aborto se coloro che la praticano non comprendono che rifiutarsi di intervenire in caso di problemi sia una grave omissione di soccorso e non un modo per esercitare un proprio diritto.
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