Un farmaco contro l’autismo? Sono i ricercatori dell’IRCCS Istituto Europeo di Oncologia e dell’Università Statale di Milano insieme a quelli dell’IRCCS Casa Sollievo della Sofferenza di San Giovanni Rotondo ad aprire la strada verso questa ipotesi, attraverso uno studio dedicato.
In particolare ad essere chiamati in causa sono i farmaci molecolari che potrebbero essere in un futuro prossimo utilizzati non solo per approcciare l’autismo ma anche le malattie mentali e più generalmente i problemi legati allo sviluppo neurologico. Pubblicata ieri su Nature Genetics, la ricerca ha potuto verificare come la disfunzione nell’attività di alcuni geni provocata dal numero delle loro copie nelle cellule sia in grado di alterare immediatamente lo sviluppo del cervello e degli altri organi in quelle malattie che per l’appunto uniscono anomalie genetiche e problemi mentali.
Ad essere messe sotto la lente d’ingrandimento degli scienziati italiani sono stati proprio l’autismo e la sindrome di Williams. Le copie di geni duplicate nella prima corrispondono a quelle perse nella seconda. Questo porta ad una “sintomatologia comportamentale” completamente opposta a quella: è facile comprendere quanto sia stata grande la voglia degli scienziati di capirne di più. Essi hanno scoperto che uno dei 26 geni alterati “in comune” causa, portando delle trascrizioni errate degli altri, delle reazioni nell’encefalo che possono essere approcciate con un farmaco genico messo a punto per un tumore.
L’esperimento si è ovviamente svolto in vitro ed ha mostrato che la somministrazione del farmaco sperimentale è grado di ripristinare il corretto funzionamento di alcuni circuiti molecolari. Non è la soluzione all’autismo, è palese, ma è quel gradino che consente di intraprendere un determinato percorso a livello scientifico, basato sulla riprogrammazione delle cellule. Commentano gli scienziati:
Il nostro lavoro è la più grande ricerca mai condotta finora, per qualsiasi malattia genetica, su cellule staminali riprogrammate e rappresenta un notevole avanzamento nell’intero campo del cosiddetto “disease modeling”, vale a dire la creazione di modelli (o avatar) di malattie umane. E’ un ambito che sta esplodendo in biomedicina. Da queste cellule è poi infatti possibile derivare “in vitro” tutti i tipi di cellule del nostro corpo, studiare i meccanismi di malattia e testare nuovi farmaci anche in tessuti umani che erano restati finora praticamente inaccessibili alla sperimentazione.
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