E’ stato finalmente chiarito il meccanismo attraverso il quale l’ebola attacca l’organismo e come bloccare il suo ingresso nel 99% dei casi. La scoperta, arriva un team di ricercatori del Brigham and Women’s Hospital (BWH) di Boston, che ha utilizzato un robot sviluppato dai colleghi del National small molecule screening laboratory della Harvard Medical School.
Gli studiosi, infatti, hanno identificato una nuova proteina in grado di impedire l’accesso del virus, derivata da benzilpiperazina adamantyl diamide. Ulteriori studi, inoltre, hanno permesso di verificare l’efficacia di questo inibitore, che è stato utilizzato come sonda per studiare il percorso dell’ebola. In questo modo, è emerso come l’obiettivo dell’inibitore sia la proteina NPC1, che funge da veicolo dell’infezione, in grado così di attaccare la membrana cellulare dell’organismo ospite.
I risultati della ricerca verranno presto pubblicati sulla rivista Nature e come spiega James Cunningham, primo autore dello studio e ricercatore presso la Divisione di ematologia della BWH:
Nel 2005 abbiamo dimostrato che la digestione della glicoproteina sulla superficie delle particelle dell’EboV da parte della cellula ospite della proteasi catepsina B costituisce un passaggio fondamentale nell’infezione, ma avevamo intuito il coinvolgimento di altri fattori. Identificare l’inibitore dell’EboV ci ha portato alla scoperta che NPC1 è il condotto attraverso il quale il virus è in grado di infettare le membrane cellulari e ciò rappresenta una svolta per le nostre ricerche.
I risultati dello studio, perciò, dimostrano come l’infezione di ebola abbia caratteristiche in comune con altri virus patogeni come la Sars e l’Hiv, che in maniera del tutto simile, sfruttano le proteine ospiti per avanzare nelle membrane cellulari e infettare le cellule ospiti. Come fa notare Cunningham:
E ‘interessante notare che NPC1 è fondamentale per l’assorbimento del colesterolo nelle cellule, il che è un’indicazione di come il virus sfrutta processi cellulari normali per crescere e diffondersi. Le micro-molecole connesse a NPC1, che inibiscono l’infezione di EboV, mostrano senz’altro il potenziale di essere trasformate in antivirali.