Il suo nome ed il suo metodo erano diventati così “pesanti” da non poter più essere trascurati. Ma come spesso accade in Italia, le scelte politiche hanno finito con il rovinare tutto. Paolo Zamboni non ha digerito il modo in cui il suo metodo è stato (e sarà) applicato nelle prossime sperimentazioni, tanto da volersi dimettere dallo Steering Committee dello Studio Epidemiologico FISM, l’organo che stava attuando l’ormai famoso “metodo Zamboni“.
In breve, si tratta di una strategia chirurgica (angioplastica dilatativa) con la finalità di curare l’insufficienza venosa cerebro-spinale cronica, una delle condizioni che portano alla sclerosi multipla. La protesta del medico ferrarese è dovuta ad un’attuazione troppo affrettata del suo metodo. E come tutte le cose affrettate, rischia di essere fatta male.
Ciò che lui contesta è prima di tutto un numero troppo elevato di operatori, 2.400, quando era sufficiente appena la metà, scegliendo così soltanto i più bravi; ma soprattutto veniva contestata la mole di ore di istruzione, circa 5000, considerate da un lato insufficienti e dall’altro mai accettate dal FISM. A questo si aggiunge che le Istituzioni non gli hanno dato molto ascolto, tanto addirittura da non rispondere nemmeno alle sue email e richieste ufficiali, e tutto questo ha portato ad uno scetticismo da parte dello scienziato su come il metodo verrà portato avanti, tanto da fargli affermare, in una lettera aperta,
sono fortemente convinto della non fattibilità dello studio seguendo il compromesso del protocollo insegnato in modo difforme rispetto al mio da altri centri giudicati idonei alla didattica, il timing imposto per la per la preparazione degli sperimentatori e la conseguente rilevazione dei dati. Nonostante avessi avvertito che occorreva lavorare molto di più nella formazione degli operatori, non vi è stata alcuna disponibilità a procedere in tal senso oppure a ridurre un campione gigantesco per poter permettere una rilevazione attendibile almeno agli operatori formati.
Ma non finisce qui. La situazione che ha portato alle dimissioni è corredata da altri problemi collaterali:
Alcuni colleghi, infatti, mi hanno telefonato scandalizzati poiché nelle sedute di didattica in cui non ero presente, venivano chiaramente messi in dubbio nei discenti i principi del protocollo a cui essi avrebbero invece dovuto essere istruiti per potervicisi adeguatamente confrontare.
Riduzione della qualità e scelte politiche discutibili hanno poi fatto il resto. Zamboni non ci sta a mettere il suo nome su sperimentazioni diverse da quelle ideate da lui, e forse è il caso di cambiare il nome al metodo, o farlo tornare più simile all’idea originale.