Trauma cranico ed Alzheimer posso essere collegati. Un nuovo studio condotto dall’Imperial College di Londra, e pubblicato sulla rivista di settore Neurology, indica che la patologia neurologica degenerativa potrebbe avere tra i fattori di rischio proprio questo tipo di incidente.
I traumi alla testa subiti dalle persone infatti aumenterebbero le probabilità che le stesse poi sviluppino con il passare degli anni l’Alzheimer o altri tipi di demenza senile per un motivo ben preciso: la formazione di placche amiloidi nell’encefalo. La ricerca in questione è considerata ancora preliminare per via del numero esiguo dei partecipanti. Ciò nonostante viene considerata dagli esperti valida per sottolineare come i risultati ottenuti potrebbero essere utilizzati, in futuro e una volta ampliati i numeri, per stabilire una corretta prevenzione delle malattie citate.
Sono stati diversi gli studi che in passato avevano mostrato come era possibile rilevare la presenza di placche amiloidi nel cervello in seguito ad un forte trauma cranico. Mentre altri hanno prestato particolare attenzione alla correlazione tra forti colpi alla testa e la demenza senile. Ed è proprio partendo da ciò che i ricercatori inglesi hanno deciso di lavorare ponendosi una domanda molto semplice ma ancora priva di risposta: il cervello presenta ancora dopo molti anni i segni della botta ricevuta?
Le analisi, eseguite sia su persone sane che su malate di Alzheimer, hanno evidenziato che anche dopo 10 anni è rilevabile la presenza di placche amiloidi in coloro che le hanno mostrate subito dopo un incidente. In questo caso il dato interessante consta non solo nella loro permanenza, ma anche nel fatto che non tutti i pazienti poi sviluppano la demenza senile o l’Alzheimer. Spesso e volentieri questo tipo di “lesioni” rappresentano un fattore di rischio quindi, ma non sono considerabili espressioni di un processo “causa-effetto”.
Il prossimo passo sarà quello di analizzare i meccanismi in modo più approfondito per capire come eventualmente “bloccare” l’insorgere dell’Alzheimer in queste persone.
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