La pandemia di coronavirus si sta presentando in tutta Europa con la sua quarta ondata e la sua virulenza, specialmente in alcuni contesti, sta ricominciando a mettere a dura prova le strutture sanitarie. Cosa possiamo imparare da quegli individui che sembrano essere resistenti al Covid-19?
Chi sono le persone resistenti al Covid-19?
Quando parliamo di persone resistenti, pariamo di persone che nonostante l’esposizione importante al virus, non hanno mai contratto la malattia né sviluppato anticorpi anche da non vaccinati. La domanda che si pongono gli esperti è: sarà possibile studiando loro comprendere come sfruttare il loro meccanismo di difesa per mettere a punto uno strumento ancora più valido nei confronti di questo particolare coronavirus?
Si è cercato di rispondere a questa domanda o perlomeno di studiare in modo più approfondito la situazione grazie a uno studio pubblicato su Nature che si è occupato proprio di analizzare i processi alla base dell’immunizzazione riscontrata a queste persone resistenti al virus: si parla di rari casi ma non per questo meno interessanti dato che è stato possibile per i ricercatori ipotizzare che si tratti, nel loro caso, di una risposta di memoria immunitaria di lunga durata legata ai linfociti T. O ancor meglio mediata dagli stessi senza il coinvolgimento dei linfociti B, quelli in grado di produrre gli anticorpi.
Questo tipo di risposta dell’organismo, secondo gli scienziati, sembrerebbe essere in grado di fermare proprio l’ingresso iniziale del virus riuscendo a prevenire lo svilupparsi dell’infezione. Entrando nello specifico, misurando la quantità di cellule T reattive contro il Covid-19 in operatori sanitari regolarmente monitorati con tampone molecolare e risultati sempre negativi al test oltre che privi di anticorpi, è stato rilevato che gli stessi presentavano coorti di linfociti T della memoria molto più reattivi e rispetto a diverse tipologie di coronavirus.
Linfociti T di memoria importanti nella risposta immunitaria
Queste cellule sono sembrate capaci di riconoscere la componente del virus legata al complesso di replicazione/trascrizione, ovvero ciò che serve, a partire dall’Rna virale, per produrre le proteine necessarie a dare vita ai virus. Una “macchina molecolare” che i linfociti T di memoria dei resistenti sembrano riuscire a colpire con maggiore successo, diversa dalle proteine di rivestimento che sono attaccate dalle cellule di memoria di coloro che sono guariti e sui quali basiamo la creazione di vaccini.
Tecnicamente la componente più colpita dalle cellule T di memoria delle persone resistenti è la polimerasi virale, l’’enzima che serve a copiare il genoma di tutti i coronavirus. Si pensa che questi individui abbiano sviluppato una immunità di memoria T dopo essere stati a contatto con altri coronavirus e che questo abbia reso il loro sistema immunitario capace di riconoscere e combattere il Covid-19 precocemente.