Una nuova scoperta scientifica per combattere la malattia di Parkinson? La notizia arriva dalle pagine della rivista scientifica internazionale PNAS (Proceedings of the National Academy of Sciences USA), ma ha origine in Italia, presso il dipartimento di Scienze biochimiche dell’Università La Sapienza di Roma, dove un gruppo di ricercatori, guidati dalla professoressa Francesca Cutruzzolà, in collaborazione con l’Università di Verona hanno scoperto il meccanismo di attivazione dell’enzima che produce la dopamina nel cervello. Cerchiamo di comprendere le terminologie ed i protagonisti di questa importante scoperta scientifica:
La dopamina è un neurotrasmettitore fondamentale per molte attività cerebrali. Una sua carenza interferisce sull’organismo, provocando movimenti involontari (come nel Parkinson ad esempio), ma anche alterazioni del tono dell’umore, depressione, disturbi del sonno e dell’apprendimento, nonché deficit mnemonici. Nella maggior parte dei casi un’alterazione dei valori di dopamina è correlata a malattie neurodegenerative gravi.
Nel nostro cervello, la sintesi dei neurotrasmettitori (come la dopamina, ma anche la serotonina) dipende dalla DOPA decarbossilasi (DDC), una proteina, che per funzionare adeguatamente si deve legare con un coenzima derivato dalla Vitamina B6 (il piridossale-5’-fosfato o PLP).
La scoperta degli studiosi, resa possibile dall’utilizzo di tecnologie biomolecolari modernissime, riguarda il legame tra questi due fattori. Spiega la professoressa Cutruzzolà:
“Abbiamo rilevato che quando manca il PLP l’enzima DDC non è attivo ed assume un’inaspettata struttura aperta. Al contrario, in presenza di PLP, l’enzima si chiude come un ostrica sulla sua perla, assumendo la forma attiva, più compatta e stabile e quindi meno sensibile alla degradazione nelle cellule. La comprensione della struttura tridimensionale e della stabilità della DOPA decarbossilasi apre nuove prospettive nella lotta contro patologie neurodegenerative quali il Parkinson, fornendo nuove speranze di cura per i malati“.
La ricerca, dal titolo “The open conformation of human DOPA decarboxylase reveals the mechanism of PLP addition to Group II decarboxylases”, è firmata da Giorgio Giardina, Riccardo Montioli, Stefano Gianni, Barbara Cellini, Alessandro Paiardini, Carla Borri Voltattorni e Francesca Cutruzzolà. Il percorso come spesso affermiamo in questi casi è ancora molto lungo, ma ci piace evidenziare come certi aspetti del funzionamento del cervello si stiano svelando poco a poco. Affascinanti anche le immagini fornite dalla stessa Università la Sapienza.
Fonte: PNAS
É veramente fiducioso che allora possiamo vedere la possibilitá della cura per questa malattia. Ma non sono sicuro che potrebbe essere anche per me. dopo la diagnosi tutta la mia vita é stata trasformata, tutto quanto volevo fare, dare e vivere fu crollato e scambiato nel inferno che vivo in questo momento. Magari la risposta sia arrivata presto, ma non lo credo cosí. Qui, nel Messico, é vergognoso che i pazienti siamo vittime della corruzione e la burocrazia mentre la malattia anda avanti dagli sforzi dei ricercatori. Torna a pensare questa storia come un sogno molto lontano da essere realtá per i pazenti, suoi famigliari, anche per la ricerca medica: un bel sogno e niente piú.
Anche il mio papà ha questa malattia che per fortuna per molti anni è riuscito a gestire abbastanza bene con i farmaci. Purtroppo però solo con quelli ed ora non ce la fa a fare la fisioterapia. Ha superato anche un tumore al polmone, ora il parkinson lo sta consumando. E non so cosa fare per lui e per la mia mamma che lo accudisce giorno dopo giorno.
Mi dispiace moltíssimo quello che vi accade, ma non so che cosa potrebbe essere peggiore: se lamentarsi per la disgrazia che oggi vivono lí con la crisi della economia europea, o come quello che vivono ogni giorno, i pazienti che non hanno acceso ai servizi che lo stato doveva offrire a tutta la popolazione in un paese sotosviluppato come il Messico, dove si trova molta gente che é morta senza sapere niente l’origine della sua malattia, inoltre essiste la possibilitá di non ricevere mai nessun appogio per mezzo dai farmaci (o alcuni di quelli che hanno bisogna perché il trattamento dipende delle condizioni eonomiche dal paziente nel momento di conoscere la fatale notizia), in questo modo saprá la sua speranza di vita con la malattia e le condizioni di sopravita che li aspettano a se stesso ed alla sua famiglia, sicuramente finirá prostrato sul letto dopo una agonia terribile tra due o tre o chissá alcuni anni di piú colla sofferenza cosí detta della assoluta miseria economica, sociale ed emozionale).
Conclusione: Per me é una malattia che solo i ricchi potrano vivere delle migliori condizioni possibile e sicuramente sfruttando gli avanzi medici e chirurgici che potrá avere nel futuro.
@GILDARDO ISLEÑO MUÑOZ:
E’ comunque una malattia che non può essere curata definitivamente… è drammatico che in alcuni Paesi come il tuo sia impossibile ottenere le terapie basilari per avere almeno una qualità di vita accettabile.