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Bambini soldato, quali conseguenze psicologiche?

Il fenomeno dei bambini soldato sta progredendo con il passare degli anni e del crescere delle guerre silenziose del terrorismo. Le cronache ci raccontano talvolta di attacchi sventati come successo in queste ore ed altre volte di piccole vittime/carnefici che riescono nello scopo. Quali pressioni vengono fatti sui bambini e quali conseguenze psicologiche per chi di loro riesce ad uscirne?

Quello dei bambini soldato (arruolati dai 6 ai 18 anni, N.d.R.) è un fenomeno purtroppo molto diffuso, soprattutto in quelle “branche” della guerra che non si svolgono in “modo tradizionale”. Essi vengono utilizzati perché facilmente influenzabili ed in grado di mostrarsi come innocenti agli occhi di terzi. Sono molte le associazioni umanitarie che negli ultimi hanno hanno studiato il fenomeno dei bambini soldato, cause e conseguenze di questo modo di agire.

Il perno sul quale i reclutatori puntano a livello psicologico è quello relativo (purtroppo) al fatto che la maggior parte di questi baby kamikaze sia stato testimone di violenze nel corso della sua infanzia. Se a questo si aggiunge eventuali minacce di vendetta nei confronti dei genitori in caso di disubbidienza, non è difficile comprendere come sia possibile spingere questi minori a fare ciò che si vuole.

Lo psicologo Magne Raundalen, consulente dell’ Unicef negli anni ’90, ha lavorato a contatto con questi bambini soldato a lungo ed ha spiegato che quando questi piccoli vengono costretti alla guerra le loro emozioni vengono soppresse e portare nel proprio io più profondo. Questo “controllo automatico” che si instaura non è però sempre perfetto e questo impressionante bagaglio psicologico ritorna a tratti alla memoria cosciente attraverso immagini, suoni ed odori. Senza che vi si possa fare nulla, portando gli stessi a vivere un continuo disturbo da stress post traumatico anche una volta iniziato, quando possibile un eventuale recupero.

Riuscire ad aiutare questi bambini deve essere il focus principale: per salvare giovani vite da morte e gravi conseguenze psicologiche.

Fonte | Unicef