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Contro la trombosi venosa profonda un aiuto dal ferro

Per prevenire la trombosi venosa profonda, un problema che ogni anno, solo fra i bambini e i giovani, fa registrare 15 mila casi, sembra che il ferro sia un valido alleato. A sostenerlo è uno studio condotto da un team di ricercatori dell’Imperial College di Londra, pubblicato sulla rivista “Thorax”.

I coaguli di sangue sono un problema particolarmente diffuso, e colpiscono tanto gli adulti quanto i più giovani. All’orizzonte, tuttavia, si profila una nuova speranza. Dalla ricerca, infatti, è emerso come la trombosi venosa profonda (TVP), spesso associata a lunghi periodi di immobilità, che si presenta con edemi e gonfiori dolorosi alle gambe, tenda a manifestarsi con un’incidenza maggiore nelle persone con carenza di ferro.

La trombosi venosa profonda è una patologia dovuta alla formazione di un coagulo di sangue, detto appunto trombo, in una o in più vene profonde dell’organismo, generalmente negli arti inferiori. Può manifestarsi quando si trascorre molto tempo seduti, ad esempio in auto o in aereo, o se si soffre di problemi che riguardano la circolazione sanguigna. Lo stare fermi per periodi protratti, infatti, costringe le gambe a restare ferme troppo a lungo e i muscoli, che in condizione di normalità aiutano il sangue a circolare, non si contraggono.

Tra i fattori di rischio ci sono anche le malattie ereditarie della coagulazione, la gravidanza, poiché aumenta la pressione all’interno delle vene del bacino e delle gambe, le lesioni o gli interventi chirurgici, alcuni tipi di tumore, la pillola contraccettiva o la terapia ormonale sostitutiva.

I ricercatori inglesi, hanno preso in esame 609 pazienti con problemi ai vasi sanguigni e telangiectasia emorragica (HHT), o comunque con un alto rischio di sviluppare coaguli nel sangue, che diminuiva notevolmente con l’integrazione di ferro. Come spiega la dottoressa Claire Shovlin, a capo dello studio:

La nostra ricerca dimostra che nelle persone affette da HHT i bassi livelli di ferro nel sangue sono un fattore di rischio potenzialmente trattabile per i coaguli di sangue. Se la scoperta si applica alla popolazione generale, avrebbe implicazioni importanti in quasi ogni area della medicina.

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