In questi giorni di allarme ed allarmismo per i prodotti agroalimentari importati dalla Germania, è una diossina ben più vicina a noi quella che dovrebbe preoccupare maggiormente: quella che contamina i fondali inquinati di Taranto. La Taranto dell’ILVA, la Taranto che abbatte le pecore contaminate, la stessa Taranto che ospita nelle sue acque cozze ed ostriche con livelli di diossina superiori alla norma consentita.
L’annuncio, neanche tanto sorprendente, è arrivato ieri mattina nell’ambito di una conferenza stampa organizzata nel capoluogo pugliese dalle associazioni Fondo Antidiossina e da PeaceLink.
Non sorprende perché i rilievi di cui si parla non sono stati effettuati negli allevamenti di mitili meno a contatto con le acque torbide, bensì su fondali inquinati del Mar Piccolo. Le analisi dei molluschi, a cura del laboratorio Inca (Consorzio Interuniversitario Nazionale di Chimica per l’Ambiente) di Venezia, hanno registrato un superamento pari al 69% dei valori ammessi dalle legge sia per le diossine che per i policlorobifenili (PCB), toccando la soglia di 13,5 picogrammi per grammo quando il limite è fissato ad 8.
Nello specifico i frutti di mare presi in esame sono le ostriche, le cozze cosiddette pelose, le cozze San Giacomo e le cozze di fondale.
Spiega il presidente di Peacelink, Alessandro Marescotti, che
Mangiando 100 grammi di questi molluschi si supera di 9 volte la dose tollerabile giornaliera di diossine e Pcb se consideriamo una persona del peso di 70 chili. Una donna di 50 chili invece supera di 13 volte la dose tollerabile giornaliera.
Non è certo la prima volta che Taranto è coinvolta nella contaminazione da diossina, ma non sempre sono i prodotti di mare quelli più a rischio. A questo proposito, la stessa PeaceLink ricorda che nel marzo del 2008 la prova evidente dei crimini ambientali fu riscontrata in un pecorino locale, che fece registrare valori di diossine e PCB di 19,5 picogrammi per grammo di materia grassa su un limite che è fissato per legge a sei.
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[Fonte: ASCA]