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Alimenti tossici: attenzione a etichette e conservanti

Sono ovunque e sono un esercito. Circa 10mila, fra cui più di mille fortemen­te sospettati di non essere del tutto innocui per la nostra salute, e nascosti sotto sigle anonime o nomi astrusi co­me, per esempio E319, E320, E321 (indicati anche come Bha, Bht, Tbhq). Conservanti, coloranti, antiossidanti, correttori di acidità, aromatizzanti che hanno diritto di circolazione in tutti i paesi dell’Unione Europea e sono giu­diziosamente elencati nelle etichette dei prodotti che affollano gli scaffali dei supermercati: salumi, yogurt, biscotti, frutta secca, snack, cibi in scatola e sottovuoto, ma anche dentifrici, sapo­ni. detersivi.

 Tutte cose che vengono acquistate senza pensarci troppo ma che invece proprio per la presenza di queste sostanze non del tutto innocue, a lungo andare possono contribuire al­lo sviluppo di intolleranze alimentari, reazioni allergiche, disturbi digestivi o, ancora peggio, squilibri del sistema ormonale. Carrello alla mano, abbiamo fatto la prova: basta mettere a fuoco i caratteri (peraltro microscopici) delle etichette che indicano gli ingredienti di un pro­dotto confezionato ed ecco che ci si imbatte in almeno una di queste mi­steriose sigle. Visto che evitarli del tutto è impossibile, che fare per limitare i rischi? 

Fortunatamente sì, come suggeriscono i due esperti che ci assi­stono nell’impresa: Roberto Fanelli, tossicologo all’Istituto di Ricerche Far­macologiche Mario Negri di Milano (nel ’76 ha coordinato le ricerche sulla contaminazione in seguito all’incidente di Severo) e Andrea Lenzi, endocrino­logo al dipartimento di Fisiopatologia Medica dell’Università La Sapienza di Roma.

Monitorare scrupolosamente etichetta per etichetta, a meno che non si ab­biano lunghe giornate a disposizione e un prontuario di chimica nella borsa, non sembra la soluzione migliore. Fa­nelli suggerisce allora una regola che nella sua disarmante semplicità appa­re decisamente efficace:

“Variare con­tinuamente i prodotti che si mettono nel carrello. Io, per esenipìo, compro sempre quelli in offerta speciale, così ho la certezza di non consumare mai gli stessi. In questo modo non devo neanche sforzarmi di ricordare la mar­ca di quelli presi la settimana prima”.

Il consiglio sembra sbrigativo, eppure resta il metodo più sicuro per evitare il rischio di sottoporre l’organismo a un pericoloso accumulo delle stesse so­stanze. Sovraesposizione che può esse­re particolarmente dannosa se riguarda una delle trilogie di additivi più discus­sa, ovvero 11320, E321 ed 11319. Sono conservanti derivati dal petrolio, sospet­tati di avere un’azione cancerogena e purtroppo presenti non solo in molti prodotti alimentari come il purè di pa­tate istantaneo, i cereali per la prima co­lazione, le creme spalmabili e i gelati confezionati, ma anche nella lista degli ingredienti di alcuni deodoratiti, dentifri­ci e cosmetici.

 In questi casi l’accorgi­mento di variare spesso la marca dei prodotti diventa ancora più necessario. Precisa Fanelli

“La precauzione vale anche per il pesce: meglio cambiare continuamente e non prendere sempre e solo quelli di grossa taglia, come il pescespada o il tonno, nei quali la quantità di sostanze inquinanti presen­ti, come i metalli pesanti, rischia di es­sere molto alta “

Andrea Lenzi mette in guardia anche da un altro insidioso pericolo:

«Avete presente il colore acceso di molti gam­beretti? Non è un dono di natura, ma si ottiene con il 4-exitresorcinolo, un colo­rante chimico che, insieme ad altri composti, è considerato uno xenoestro­geno, prodotto chimico di sintesi che imita l’azione degli ormoni e può quindi alterare il funzionamento del sistema endocrino».

Prosciutto, bresaola e altre carni affettate e vendute in comodissi­me buste, invece contengono quasi sempre E252 o nitrato di potassio. An­che questo un colorante che desta qualche preoccupazione. Sospettato di provocare infiammazioni renali, vertigi­ni, mal di testa. Attenzione quindi ai co­lori improbabili, che si tratti di un alimento o di un prodotto per la pulizia. Ovvio, ma non troppo. Pensate. per esempio, a saponi, shampoo e dentifrici, oppure ai detersivi che avete a casa: perché devono essere rosa o verde fo­sforescente? È la tonalità che convince gli acari e i batteri sul pavimento a non proliferare?

Ed eccoci alla seconda re­gola base per scegliere un prodotto piuttosto che un altro: eliminare tutto quello che è inutile. È indispensabile che un dentifricio sappia di mango o uno yogurt di castagna? Più corta è la lista degli ingredienti, meglio è. Quindi tenendo conto che per legge i vari com­ponenti di un prodotto compaiono sul­l’etichetta in ordine decrescente di quantità confrontando anche il numero di  ingredienti presenti in due prodotti simili, si può facilmente intuire quale sia quello potenzialmente meno pericoloso.

Qualche volta però neanche una lista di ingredienti ridotta all’osso è garanzia di sicurezza assoluta. Pensiamo all’insala­ta in-busta:

 «Qui i danni per la salute possono essere provocati dalla contami­nazione da microorganismi (batteri e muffe} che aumentano se i sacchetti non sono tenuti sempre al freddo, o re­stano troppo a lungo sugli scaffali del supermercato»

spiega Fanelli. Che per­ciò suggerisce di controllare scrupolosa­mente la data di confezionamento sce­gliendo le buste sigillate da poco, e di lasciare in ogni caso l’insalata a lungo sotto l’acqua corrente prima di man­giarla. Altro dubbio inquietante si ha di solito davanti ai prodotti in scatola, pla­stica, vetro, alluminio: qual è il conteni­tore più sicuro? Il vetro è sicuramente il materiale più innocuo perché, a diffe­renza degli altri, non rilascia sostanze chimiche. Però è più pesante, e quindi comporta costi di trasporto più alti, fa notare Fanelli.

Dopo queste notizie è normale arrivare alla coda della cassa con un filo di in­quietudine:

«Gli Stati Uniti e la Commis­sione Europea hanno approvato due documenti ufficiali: il Food Protection Quality Act e il Community Strategy fon Endocrine Disrupters per sviluppare, migliorare e aggiornare i metodi di screening degli alimenti. In modo, per esempio, da individuare più rapidamente la presenza di xenoestrogeni»

prova a rassicurarci Lenzi.