L’ultimo caso in ordine di apparizione è quello dello spot a favore della raccolta dei fondi con il 5X1000 finalizzati alla ricerca scientifica sul diabete di tipo 1. Eppure non appena ho visto i titoli al riguardo, mi sono venute in mente una serie di altre Campagne informative che hanno egualmente destato polemiche. La più famosa, forse la più contestata è sicuramente quella di Oliviero Toscani sull’anoressia: giganteschi poster con il nudo di Isabel Caro, la giovane modella recentemente scomparsa proprio a causa di questa malattia. Un vero pugno nello stomaco, e poi un brivido: questa la sensazione che ho avuto nel vederli seguita da tanto stupore per chi non trovava dignitose quelle foto. Già perché in quel caso come in altri, penso che le immagini valgano più di tante parole.
Pensiamo al tabagismo. Che effetto ha la scritta sul pacchetto di sigarette? Quando fumavo, ritenevo (e tutt’ora lo penso) che rappresenti semplicemente un modo da parte delle istituzioni di de-responsabilizzarsi. Diverso invece il discorso della campagna informativa francese che mette sullo stesso piano il vizio del fumo ed una fellatio. La ricordate? (Qui). Immagine forte, che però fa riflettere, non trovate? Credo che capostipite di queste informazioni basate sull’effetto shock sia stata proprio una campagna sui danni del fumo. E’ di molti anni fa, ma la ricordo come se fosse ieri. Uno dei miei miti adolescenziali Yul Brynner, annunciava al mondo la causa del suo cancro ai polmoni: il fumo. Eccolo:
Questo spot, andò in onda post mortem, nel 1985 e le sue parole sono semplici e chiare, proprio come il passaggio dalla vita alla morte:
“Ora che sono andato, io vi dico: Non fumare! Fate quello che volete, basta che non fumate……..”
Ci sono stati molti altri spot, come quello sull’ eutanasia e tanti altri che hanno fortemente colpito come un pugno allo stomaco. E’ chiaro che non tutte le persone reagiscono allo stesso modo e molti possono trovare certe immagini lesive della dignità umana, sconvenienti, violente o addirittura pericolose. Sull’ultimo caso, del diabete non so prendere una posizione. Da un lato comprendo l’obiettivo di chi ha voluto mostrare un bambino malato con una maschera da adulto, è chiaro che la malattia obbliga a crescere in fretta. Ma poi mi metto dalla parte dei tanti protagonisti, piccini, che pur dovendo convivere con questa patologia, cercano di avere una vita normale, priva di “etichette”. Forse seguire un bimbo senza maschera, nella sua quotidianità, nel gestire il diabete avrebbe aiutato a comprendere meglio. Ma non riesco a dare un giudizio netto. E voi che ne pensate? Partecipate al sondaggio in fondo al post.
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