Saltare da un palazzo all’altro, arrampicarsi sui muri, fare capriole e avvitamenti all’interno di un contesto metropolitano. Questo il Parkour, disciplina sportiva a metà strada fra arti marziali e sport estremi, fondata dal francese David Belle che iniziò a praticare in un ambiente urbano le tecniche apprese da bambino, grazie al padre, un ex militare, giocando nei boschi. Il nome è stato ottenuto aggiungendo una k al posto della c nella parola francese parcour (percorso). Il Parkour consiste infatti nel raggiungimento di un obiettivo preciso attraverso un percorso, stabilito in precedenza, irto di ostacoli rappresentati in questo caso da ponti, palazzi, parapetti, gradinate. Tuttavia il Parkour non è una semplice competizione fra chi salta più in alto o corre più veloce, ma ha come obiettivo il raggiungimento della padronanza del corpo e della mente per superare gli ostacoli che si frappongono fra noi e le nostre mete fisiche e mentali.
I suoi praticanti, i cosiddetti traceurs, si sottopongono ad un allenamento impegnativo ma graduale nel quale non si pretende che siano immediatamente pronti per la prova, ma che accorda loro la possibilità di superare i propri limiti poco per volta. Prima di lanciarsi in una corsa emozionante interrotta solo da salti, capriole e arrampicate occorre infatti sviluppare non solo la propria forza, ma anche la propria capacità di concentrazione. Questi gli unici ausili del traceur che affonta gli ostacoli a mani nude. Più che uno sport il Parkour rappresenta dunque una filosofia di vita per chi vuole così conseguire una migliore conoscenza di se stesso e imparare a superare le proprie paure. Lo sport è diffuso in tutto il mondo soprattutto in Francia e in Inghilterra, ma prende piede lentamente anche nel nostro paese. Il regista francese Luc Besson ne ha fatto un film:”Yamakasi, i samurai dei tempi moderni”, da vedere anche per le spettacolari acrobazie dei traceurs.