Che la meditazione facesse bene, questo era risaputo. Non fa tanto parte della cultura italiana, dove è preponderante la preghiera, ma nella medicina asiatica, e da qualche decennio anche in quella americana, le prescrizioni di medicinali vengono associate allo yoga o ad altre pratiche di controllo del corpo e della mente.
In effetti, ciò che avviene con tali pratiche, in un certo senso rispecchia anche quello che avviene con la preghiera, e cioè un certo senso di appagamento, di miglioramento della salute fisica (principalmente controllo del dolore) e mentale, e tutto un lavoro psicologico che pare fare bene anche ai valori del sangue e al nostro cuore. Secondo una nuova ricerca effettuata alla Maharishi University of Management di Fairfield, in Iowa alle Scientific Sessions dell’American Heart Association di Orlando, pare che ciò avvenga veramente e ha prove testabili scientificamente.
Spiega Robert Schneider, uno degli autori dello studio, che per quanto riguarda alcune malattie come quelle cardiache e gli ictus, mentre le statine che abbassano il colesterolo sono in grado di diminuire del 30-40% l’insorgere di tali condizioni, e i farmaci antipertentensivi abbassano la probabilità di soffrirne del 25-30%, una regolare sessione quotidiana di meditazione può avere un beneficio in quasi il 50% dei casi.
In una ricerca, effettuata su 200 pazienti che avevano riscontrato un ridotto afflusso di sangue al cuore rilevato da una coronografia, questi sono stati suddivisi in due gruppi: ad un gruppo veniva insegnato a seguire uno stile di vita più sano, l’altro seguiva le stesse lezioni, ma in più effettuava anche 15-20 minuti di meditazione al giorno.
Lo studio è durato 5 anni, e alla fine di essi il risultato è stato che chi aveva seguito lo yoga presentava un abbassamento del 47% di probabilità di subire attacchi cardiaci, ictus o morte rispetto all’altro gruppo.
La progressione lenta e subdola della malattia ostruttiva delle coronarie e i fenomeni che scatenano l’infarto cardiaco sono talmente complessi che è riduttivo pensare di risolvere il problema solo con i farmaci o con interventi che dilatano le coronarie là dove sono maggiormente ristrette. Ben vengano quindi ricerche nella quali si verifica se intervenire su altri aspetti della vita può ridurre il rischio
ha commentato Marco Bobbio, primario di cardiologia presso l’Ospedale Santa Croce e Carle di Cuneo.
[Fonte: Corriere della Sera]