Alzheimer: ancora un nuovo studio, un’ipotesi sulle cause e dunque la possibilità di un’opportunità terapeutica. Certo, futuribile, ma ve la raccontiamo egualmente, perché ogni cosa può essere importante in questa fase della ricerca. Secondo alcuni studiosi americani dello Scripps Research Institute, le placche amiloidi, responsabili del cattivo funzionamento delle trasmissioni nervose cerebrali e dunque della degenerazione tipica delle varie forme di demenza senile, Alzheimer compreso, proverrebbero dal fegato e non dallo stesso cervello. Gli scienziati, con lo scopo di trovare il modo per prevenire o curare la patologia, hanno analizzato un modello animale che presentava i sintomi della malattia, prendendone in considerazione i geni responsabili della produzione delle placche amiloidi.
Ebbene avrebbero individuato una stretta correlazione tra questi geni nel cervello e medesi nel fegato. Anzi secondo la loro osservazione più è bassa la presenza genetica di questi fattori a livello epatico e maggiore è la possibilità che a livello cerebrale non si sviluppino le pericolose placche. Dunque? Ha spiegato uno dei ricercatori, il dott. Greg Sutcliffe :
“Questo suggerisce che una concentrazione significativa di placche si origina nel fegato, circola nel sangue e entra nel cervello. Se il risultato fosse confermato, bloccare la produzione nel fegato, dovrebbe proteggere anche il cervello. Questo semplificherebbe molto la ricerca di nuovi trattamenti.”
Lo studio è stato pubblicato sul “Journal of Neuroscience Research”.
Sulla rivista Stem Cell, invece sono stati divulgati i dati ottenuti dai Ricercatori della Northwestern University di Chicago (Usa) che per la prima volta sono riusciti a trasformare una cellula staminale embrionale umana in un neurone particolare, quello che degenerando provoca la perdita di memoria nei malati di Alzheimer e dunque il decadimento delle funzioni cognitive: si apre una rapida strada verso nuovi farmaci, ma soprattutto verso il trapianto di neuroni ottenuti da staminali.
Il Morbo di Alzheimer colpisce in Italia più di 600.000 persone direttamente ed indirettamente anche le famiglie.
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