Il senso del gusto? A quanto pare dipende in buona parte anche da vista ed udito. E’ come se fosse una illusione che il nostro cervello costruisce e che dipende per metà dagli ingredienti che lo compongono e per l’altra parte da fattori “assimilabili” con gli altri due sensi citati.
Consistenza, rumore alla masticazione e colore rappresentano, secondo Charles Spence dell’Università di Oxford, buona parte del gusto delle pietanze che ingeriamo. Questo esperto può essere definito un pioniere del settore, ormai da anni impegnato nello spiegare la reale percezione del gusto da parte degli esseri umani. Una delle sue prime ricerche che hanno aperto la strada verso tale definizione è stata quella relativa alla freschezza delle patatine fritte: le persone le percepivano più fresche in base al suono che facevano e non rispetto all’effettiva data di preparazione o apertura.
Ma non si limita qui ciò che il professore è stato in grado di provare: il caffè sembra più intenso se bevuto in una tazzina bianca, una mousse è più dolce del 10% se anche il suo contenitore è bianco piuttosto che scuro. Sono molti gli esempi che si potrebbero fare in tal senso e che portano tutte quante allo stesso punto di arrivo: il gusto delle persone è influenzato anche dal loro udito e dalla loro vista. Molti dei suoi studi, va detto, sono stati finanziati da industrie interessate a comprendere come migliorare i loro prodotti in base a tali assunti, ma ve ne è uno sul gusto degli anziani davvero interessante. Esso mostra come coloro che hanno più di 70 anni abbiano una percezione del sapore completamente diversa rispetto alle persone più giovani.
E si nota facilmente come con il deteriorarsi di alcuni sensi anche il gusto ne risenta. Un esempio? Hanno bisogno di più sale (circa il 20% in più, N.d.R.) per percepire la stessa sapidità di un adulto medio per lo stesso piatto. E la soluzione risiede nell’utilizzare piatti che il cervello associa alla sapidità come quelli di coloro blu, o aiutare l’olfatto con un maggiore “suono” delle pietanze.
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