Le radiazioni ionizzanti a basse dosi, utilizzate nelle procedure post attacco cardiaco potrebbero rappresentare un fattore di rischio di sviluppo di forme tumorali.
Lo studio, condotto in associazione dai ricercatori della McGill University Health Centre (MUHC) e del Jewish General Hospital di Montreal (Canada) è stato recentemente pubblicato sul Canadian Medical Association Journal.
Questa tipologia di esame rientra nella diagnostica a immagini e riguarda principalmente i pazienti reduci da una ischemia cardiaca. Già da tempo si sospettava che queste radiazioni non fossero propriamente prive di rischi e specialmente negli ultimi tempi venivano considerate da diversi interlocutori legate all’aumento di incidenza di forme tumorali di diversa tipologia, principalmente per ciò che riguardava i pazienti reduci da infarto.
E proprio su di loro è stato condotto il suddetto studio, al fine di trovare una correlazione diretta tra i due fattori. Gli scienziati dei due centri scientifici hanno esaminato i dati relativi a circa 83mila pazienti ricoverati nelle due strutture dall’aprile del 1996 fino al marzo del 2006.
I pazienti presi in considerazione, tutti di età media pari a 63 anni, non presentavano storie pregresse di cancro. Il 32% era di sesso femminile. Il 77% dei volontari è stato sottoposto ad una procedura a base di radiazioni ionizzanti a basse dosi entro un anno dall’infarto.
Comparando i dati raccolti è emerso che nel periodo convenzionalmente chiamato di “follow up”, 12.010 pazienti di quelli sottoposti alla procedura hanno sviluppato un tumore, per due terzi relativi ad organi del petto, dell’addome e del bacino. Conferma la dott.ssa Louise Pilote del MUHC:
Abbiamo scoperto una relazione tra l’esposizione cumulativa di radiazioni ionizzanti a basse dosi per le imaging cardiache e le procedure terapeutiche dopo l’infarto del miocardio acuto, e il rischio incidente di cancro .
Tale studio, sostengono i ricercatori, deve aprire la via ad indagini più specifiche riguardanti l’effettiva pericolosità del protocollo.
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Fonte: La Stampa