Il morbo di Alzheimer è una demenza progressiva frequente nel soggetto anziano ma che può manifestarsi anche prima dei cinquant’anni. Questa malattia prende il nome dal suo scopritore, Alois Alzheimer ed è caratterizzata da un processo degenerativo che distrugge progressivamente le cellule cerebrali, rendendo a poco a poco l’individuo che ne è affetto incapace di una vita normale.
Questa sindrome colpisce senza distinzioni di nazionalità, di razza, di gruppo etnico o di livello sociale; interessa sia uomini che donne con una maggiore incidenza su quest’ultime. Nella realtà del nostro Paese, in base alle proiezioni statistiche nazionali, si ipotizza che le persone malate di Alzheimer siano all’incirca 500.000 per lo più inseriti nella propria famiglia e si presume che raddoppieranno per l’anno 2020.
Non si conosce una causa precisa della malattia; tuttavia, gli ultimi studi prediligono per un’origine a più fattori, vale a dire che viene riconosciuta una concomitanza di cause. In alcune famiglie la malattia ha una chiara ereditarietà dominante, ma si tratta di casi molto rari (circa 1 %). In un maggior numero di casi si riscontra una certa predisposizione genetica, testimoniata dalla presenza di qualche altro familiare, anche lontano, colpito dalla malattia ma anche qui niente è testimoniato scientificamente.
I primi sintomi della malattia possono essere confusi con i normali segni dell’invecchiamento, come: dimenticanze, perdita della concentrazione, difficoltà a mantenere l’attenzione, riduzione dei tori e dell’articolazione del linguaggio motivo per cui spesso non si dà la giusta importanza a tali comportamenti finché non progrediscono nel tempo.
I segni più frequenti e più caratteristici dell’Alzheimer e che permettono una diagnosi possono essere identificati
- nella perdita della memoria in forma progressiva e pervasivi;
- nell’incapacità di controllare le risposte emotive;
- nella confusione e disorientamento spazio temporale;
- nella frequente ripetizione delle domande;
- nell’ incapacità di ritrovare le proprie cose, nascoste in luoghi poco usuali;
- nell’agitazione, inquietudine e nervosismo;
- nella motricità afinalistica, che è stata chiamata vagabondaggio;
- nell’allontanamento da casa non riconoscendola come propria;
- nella perdita dell’orientamento anche nelle vicinanze della propria casa;
- nel mancato riconoscimento dei famigliari:
- moglie o marito, figli, nipoti;
- nella stanchezza, distacco, tristezza o depressione;
- nei segni di tensione eccessiva, di irritabilità ed aggressività;
- nelle allucinazioni per lo più visive e uditive;
- nel desiderio di andare dai propri genitori (soprattutto la mamma);
- nella perdita della coordinazione nei movimenti complessi e poco abituali.
Da un punto di vista terapeutico oltre al trattamento farmacologico è possibile intervenire su tale malattia con la riabilitazione attraverso stimolazione cognitiva mirata al rallentamento del declino cognitivo; l’intervento mira da una parte a contrastare la progressiva compromissione delle abilità residue e quindi a preservarle, dall’altra, a favorire i meccanismi di compensazione nei confronti delle funzioni lese. Si tende quindi a cercare di stimolare l’anziano nelle attività quotidiane attraverso tecniche specifiche che permettono il mantenimento del residuo funzionamento individuale.
Altra tecnica utilizzata nell’ Alzheimer è la validation, ideato negli Stati Uniti dalla Dr. Naomi Feil, intesa come una forma di comunicazione con gli anziani disorientati, valido sia nella fase lieve che in quella avanzata, basato sul concetto della legittimazione del pensiero dell’anziano stesso. Spesso infatti ciò che l’anziano dice sembra privo di ogni senso (cosa assolutamente falsa); attraverso la validation si prende per vero ciò che dice, e si cerca di comprendere le cose dal suo punto di vista, agendo altresì su quelle che sono state le esperienze passate.
Per fare ciò logicamente è necessario costruire un rapporto di tipo empatico, è necessario sentire ciò che l’altro sente, un vedere ciò che l’altro vede pur se inesistente. Se l’ascolto dunque sarà empatico e convalidante, l’anziano disorientato si sentirà preso in considerazione, preso sul serio, non deriso o nella solitudine più completa. Tali sentimenti infatti generano spesso nella persona anziana quel senso di disperazione che in alcuni casi può sfociare nella ricerca della morte. E’ importante quindi che le famiglie si sensibilizzino a tali problematiche,soprattutto se hanno in casa persone anziane, è importante che siano pronte ad approcciarsi a loro perché nella vita di ognuno ogni persona anziana è stata un forte punto di riferimento.