Torniamo a parlare anche oggi della tubercolosi (tbc o tisi). I fatti di cronaca ci hanno creato molti dubbi riguardo. Nel post di ieri vi abbiamo già spiegato che il contagio può avvenire esclusivamente in caso di malattia tubercolare attiva, cioè con i bacilli che si riproducono e diffondono nell’organismo, in un’ incidenza che tocca solo il 10% della casistica totale. Per il restante 90% si parla di infezione tubercolare e cioè, come nel caso dei bambini coinvolti dagli eventi romani (da infermiera ed insegnante): non c’è malattia, ma solo la presenza degli anticorpi al bacillo di Koch: questi bimbi potrebbero non sviluppare mai la tubercolosi, ma per sicurezza è necessaria la profilassi. Cerchiamo ora di rispondere a qualche altro dubbio.
Come si fa la diagnosi di tubercolosi?
Una diagnosi di tubercolosi si effettua valutando alcuni parametri specifici: prima di tutto lo stato di salute generale del paziente corredato dalla possibilità o certezza di un contatto con persona affetta da tubercolosi attiva. In genere si tratta di pazienti che hanno una febbre persistente o i sintomi simili ad una polmonite che però non passa nonostante le cure antibiotiche. A quel punto si può procedere col il test della tubercolina. Se questo è positivo non significa che vi sia la malattia in corso, ma solo che è avvenuto il contatto con il bacillo tubercolare. A questo punto per confermare il sospetto della malattia si può eseguire una radiografia al torace (nel 90% dei casi la tbc colpisce i polmoni) ed altri esami di laboratorio: ricerca del bacillo di Koch nelle urine, nell’espettorato, o nell’aspirato gastrico.
Test della tubercolina o di Mantoux per la diagnosi della tbc
Il test della tubercolina e quello di Mantoux sono sinonimi. La tubercolina è una sostanza ideata dallo stesso Robert Koch quando sul finire del 1800 avendo identificato il bacillo responsabile della tubercolosi, tentava per questa di trovare una cura. Vano fu il tentativo (fino all’adozione di alcuni antibiotici molti anni dopo), ma la tubercolina rimase comunque determinante per effettuare una diagnosi. Da allora fino ad oggi è ancora ampliamente usata, il test della tubercolina è consigliato anche dalle linee guida internazionali. L’unica differenza è che negli anni ’60 è stata realizzata una nuova formulazione che viene definita tubercolina PPD (ovvero Derivato Proteico Purificato del bacillo) ed è quella attualmente usata nei test, mentre l’altra è definita come “tubercolina vecchia”.
Esistono due modi per effettuare il test: il primo (test cutaneo) si attua nelle comunità vaste, quando c’è necessità di uno screening: si utilizza un piccolo dispositivo (come un timbrino) contenente minuscoli aghi imbevuti di tubercolina. In ospedale si applica direttamente il test di Mantoux che è caratterizzato dall’iniezione sottocutanea della tubercolina PPD. In ambedue i casi si effettua nell’avambraccio, è indolore ed occorre attendere 48-72 ore per vedere se c’è positività. Questa si manifesta con una sorta di inspessimento della cute all’altezza dell’iniezione. In genere questo test non ha effetti collaterali e si può effettuare anche in gravidanza e nella primissima infanzia. Qualche disturbo (indolenzimento ed edema) si può avere in presenza di una forte carica di bacilli, così come una leggera febbre, ma mai nulla di grave e permanente.
I falsi positivi ed i falsi negativi con il test della tubercolina
Un risultato negativo indica che non vi è un’infezione tubercolare: non si è cioè stati contagiati. Purtroppo però data la lentezza del bacillo di Koch nel riprodursi, prima di scatenare gli anticorpi possono passare dalle 2 alle 6 settimane, in cui in test della tubercolina risulta negativo pur essendoci infezione in corso. Anche altre malattie virali, sviluppando reazioni immunitarie possono nascondere quella della tubercolina e dare un falso negativo. Lo stesso dicasi per chi ha un sistema immunitario compromesso o non adeguatamente sviluppato (come i neonati del policlinico Agostino Gemelli). I falsi positivi invece si hanno in caso di vaccinazione.
Diagnosi della tbc con il Quantiferon: che differenza con il test della tubercolina?
Un secondo test per la diagnosi della tbc è quello del Quantiferon. I neonati del Policlinico Gemelli, per le motivazioni di cui sopra, sono stati testati sia con il test della Tubercolina che con il Quantiferon e questo ha dato luogo non solo a risultati opposti, ma anche a dubbi ed incertezze ulteriori. Da qui anche l’interesse della comunità scientifica internazionale al caso particolare e l’annuncio da parte del ministero della salute circa lo sviluppo di uno studio al riguardo. Cerchiamo di capire meglio: il Quantiferon QFT è una nuova acquisizione: è stato approvato solo nel 2001 dalla FDA statunitense e con particolari linee guida che evidenziano come questo test vada effettuato per screening specifici. Si effettua con un’analisi ematica: in vitro questo misura il rilascio dell’interferone-gamma nel sangue in seguito allo stimolo con derivato proteico (PPD).
Il sangue va trattato entro 12 ore dal prelievo. E’ dunque molto preciso, ma non sembra rispondere adeguatamente in caso di malattia conclamata, bensì solo in presenza di infezione tubercolare. Di contro, basta una visita ambulatoriale per effettuarlo e non da positività in caso di vaccino antitubercolosi. Il problema è che non esistono adeguati studi scientifici per attestare la validità di questo test diagnostico nell’infanzia: un dubbio lecito si evince dal fatto che i neonati con sistema immunitario immaturo potrebbero avere una ipersensibilità all’interferone e dare un falso positivo. L’occasione è buona per indagare? Staremo a vedere.
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