La medicina ci insegna che ci sono dei grassi che ci fanno del male, facendo crescere il nostro tasso di colesterolo nel sangue, ed altri che ci fanno bene, come gli Omega 3. I lipidi a seconda della tipologia sono un elemento che come una medaglia contiene due facce, una opposta all’altra. Perché? A questa domanda hanno tentato di rispondere l’Università del New Mexico e la Northwestern, con una ricerca pubblicata sulla rivista di settore The Quarterly Review of Biology.
A quanto pare la risoluzione di questo “enigma” risiederebbe nell’intestino e nell’interazione che i grassi hanno a seconda della loro tipologia con la flora batterica intestinale. L’ipotesi più accreditata dai ricercatori in seguito al loro studio è quello che alcuni grassi aiutino la proliferazione di batteri nocivi, mentre altri, come gli omega 3, di batteri buoni.
Quando i batteri proliferano, il sistema immunitario entra in funzione. Quando lo stesso è troppo sollecitato, quelle che sembrano essere normali infiammazioni rischiano di divenire delle vere e proprie malattie croniche. Anche se l’immissione nell’organismo di grassi “speciali” come gli omega 3 apporta un’azione antibatterica. Commenta così il suo studio il dott. Joe Alcock, coordinatore del team di ricerca:
Sebbene gli effetti infiammatori dei grassi siano ben documentati è meno considerato il fatto che influenzano la sopravvivenza e la proliferazione batterica nel tratto gastrointestinale. Se si espongono i batteri ai grassi insaturi, i batteri hanno la tendenza a lisare, ovvero a rompere della loro membrana. La combinazione di grassi insaturi a catena lunga, in particolare gli acidi grassi omega 3, e le difese intrinseche di accoglienza come l’acido gastrico e i peptidi antimicrobici, risulta quindi particolarmente letale per batteri patogeni.
E’ su questa caratteristica dei grassi insaturi contrapposta alla nocività dei grassi saturi che i ricercatori hanno focalizzato la loro attenzione, arrivando a scoprire che i germi nocivi sarebbero spinti alla crescita dalla componente di carbonio contenuta nei grassi saturi. Al momento, sottolinea la squadra di studio, si tratta di un’ipotesi, che necessità di essere confermata da ulteriori ricerche in merito.
Fonte | The Quarterly Review of Biology
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