Fino a poco fa non era raro trovare nella cassetta della posta, tracciato su carta intestata con stemmi smaglianti, il messaggio di strane società per le ricerche araldiche che annunciavano di aver individuato nel nostro cognome sicuri indizi di antica nobiltà, disposte – dietro compenso -a certificare baronie o marchesati. Tali pratiche, sopravvissute negli anni anche dopo che i titoli nobiliari hanno perduto senso e valore civile, corrispondevano certo all’ambizione di coloro che volevano aggiungere alla loro identità una coroncina sul biglietto da visita o su un anello da mignolo.
Ma, dietro la vanità, c’è anche la profonda esigenza umana di estendere nel tempo e nello spazio l’interrogativo esistenziale della conoscenza di sé e delle proprie radici identitarie. In psicoanalisi si chiama romanzo familiare la costellazione di fantasie di tanti giovani che, nel momento in cui sono delusi dalla normale umanità di papà e mamma, sognano di essere figli segreti di genitori sconosciuti di alto lignaggio. Oggi, nella nostra epoca disincantata e tecnologica, l’antica favola assume nuove forme.
Negli Stati Uniti si sta profilando la tendenza a sottoporsi a ricerche sul Dna per scovare i propri antenati. Ovviamente i test non possono fornire indicazioni biografiche, ma solo elementi etnici genetici, inevitabilmente compositi in una popolazione come quella americana, ricca di tanti apporti e mescolanze di genti e di tanti incroci: per cui il mosaico dell’identità non può certo essere decodificato semplicemente a vista, sulla base delle sfumature dei colore della pelle.
Ad esempio, un giovane apparentemente bianco, adottato da una coppia di genitori bianchi, interrogando il suo Dna ha saputo di avere una quota di sangue africano e ciò – al momento dell’iscrizione al college – gli ha consentito di ottenere una borsa di studio destinata alle minoranze; mentre un cristiano ha potuto esibire radici ebraiche e richiedere la cittadinanza israeliana. Certificare sangue europeo può valere a sostenere diritti ereditari oltreoceano, mentre avere qualche goccia cherokee o di altre tribù pellerossa può servire ad avanzare rivendicazioni civili ed economiche. Così, ben oltre l’adolescenza, la questione si è spostata dall’intimità del privato ai laboratori di genetica. Anziché arrovellarsi in segreto, basta sborsare poche centinaia di dollari: e la domanda esistenziale del «chi sono?» si trasforma nel più pratico «che cosa mi spetta?».