Molto spesso, il tumore al seno richiede un trattamento adiuvante (in più, di aiuto, a supporto) con farmaci inibitori delle aromatasi (AI) come l’anastrozolo, l’exemestane ed il letrozolo, onde evitare il rischio di una recidiva. Si tratta di una terapia estremamente importante, un caposaldo in oncologia per la lotta contro il carcinoma mammario, ma che sul lungo termine può avere effetti collaterali spiacevoli. Uno studio italiano ha scoperto che aumenta il rischio di osteoporosi. Ecco i dettagli.
Quando si usano i farmaci inibitori delle aromatasi?
Servono per evitare il rischio di recidiva di un carcinoma alla mammella, nelle donne in menopausa ed ormonosensibili (ovvero ER + , dove E sta per estrogeni ed R per recettori). Questo farmaco viene somministrato per 5- 10 anni a seconda dei casi. Proprio la lunghezza della terapia ha necessitato studi ad hoc in termini di sicurezza sul lungo termine.
Lo studio sulla salute delle ossa
Lo studio – appena pubblicato sulla rivista scientifica Bone -ha analizzati la frequenza di fratture di 263 donne italiane sottoposte a questa terapia, misurandone la densità ossea prima e dopo con la DEXA a morfologia vertebrale, un’ indagine diagnostica specifica. Altro parametro utilizzato: analisi del sangue con dosaggi ormonali e dei valori di calcio. Il gruppo delle volontarie è stato diviso in 2 parti: 94 donne trattate con inibitori ed il restante 169 ‘naive’ cioè non trattato.
Ha sottolineato il Prof. Alfredo Berruti, Ordinario di Oncologia Medica all’Università di Brescia e co-autore dello studio:
“Lo studio che abbiamo condotto si basa su un concetto nuovo: cercare le più subdole e spesso asintomatiche fratture vertebrali e non quelle cliniche come anca e femore che non possono sfuggire alle pazienti. Indagando la prevalenza delle fratture asintomatiche i numeri cambiano drammaticamente e arrivano al 35% nelle donne in trattamento adiuvante. Un aspetto fondamentale che è oggi più considerato dagli oncologi medici, per i quali è importante tenere sotto controllo il rischio di recidive tumorali, certo, ma anche garantire una sopravvivenza di qualità senza rischi di invalidità e perdita di autonomia.”
Ciò che si perde con questi farmaci è la quantità e la qualità dell’osso, come ha spiegato anche il Prof. Andrea Giustina Direttore della Cattedra di Endocrinologia presso l’Università Vita e Salute San Raffaele di Milano, altro autore dello studio e Presidente del GIOSEG:
“La terapia adiuvante con inibitori delle aromatasi è un pilastro fondamentale della terapia oncologica ma ha un pesante impatto sulla salute delle ossa. Le donne che seguono tale terapia perdono circa il 6% di massa ossea ogni anno, contro circa l’3% di donne sane con la stessa età.”
I dati emersi devono condurre necessariamente ad una riflessione e ad un cambiamento nella gestione di queste pazienti:
“l’esame della morfometria vertebrale emerge nella sua fondamentale importanza per il follow-up dello stato di salute ossea in queste pazienti. Infatti, se il ‘life time risk’ delle fratture vertebrali ammonta a circa il 40%, nelle donne che hanno avuto un cancro il rischio di osteoporosi secondaria alla terapia si moltiplica. Eppure secondo alcune ricerche circa il 45% delle pazienti non riceve alcun trattamento di prevenzione delle fratture e il 60% delle donne sane con meno di 50 anni non ha mai effettuato alcun esame per verificare la salute dello scheletro. Basta fare due calcoli per comprendere l’importanza di proteggere le ossa di queste pazienti con un farmaco adeguato. Al momento l’unico che si è mostrato capace non solo di aumentare la Bone Mineral Density ma di prevenire effettivamente le fratture delle vertebre è il denosumab, un anticorpo monoclonale completamente umanizzato indicato per il trattamento dell’osteoporosi post- menopausale”.
Anche gli effetti collaterali delle terapie anti cancro si possono prevenire!
Leggi anche:
Osteoporosi, tra le cause i farmaci
Photo Credit | Thinkstock