Quando si valuta lo stato di salute generale di una popolazione l’età media ha un peso rilevante, come è giusto che sia, perché una vita più lunga denota un maggior accesso alle cure, un sistema sanitario funzionante, condizioni igienico-sanitarie a livelli ottimali e così via discorrendo. Tuttavia, bisogna anche tenere conto di come si vive in quegli anni in più. E la verità è che spesso si vive malati.
Lo abbiamo visto nel caso della percentuale di persone over 65 non autosufficienti in vertiginoso aumento nel nostro Paese, che ha destato la preoccupazione dell’Ordine dei medici per gli effetti sul welfare. E ora arriva una conferma in questa direzione anche dagli States, da uno studio che spiega come all’aumento della speranza di vita non abbia corrisposto ad un miglioramento della salute e dunque della qualità della vita.
La ricerca, effettuata da un’équipe della University of Southern California e pubblicata sul numero di dicembre della rivista di divulgazione scientifica Journal of Gerontology, spiega che dal 1970 al 2005, la probabilità di un over 65 di sopravvivere fino all’età di 85 anni è più che raddoppiata, passando dal 20 al 40 per cento. Molti ricercatori presumono che gli stessi fattori che consentono alle persone di vivere più a lungo, compresi stili di vita più salutari e progressi della medicina, possano altresì ritardare l’insorgere delle malattie e consentire alle persone di spendere meno anni della loro vita con una malattia debilitante.
Ma lo studio della dottoressa Eileen Crimmins e del ricercatore Hiram-Sánchez Beltrán, dimostra al contrario che la morbosità media, ovvero il periodo di vita che si trascorre con una grave malattia o con la perdita della mobilità funzionale, è addirittura aumentata negli ultimi decenni.
“Abbiamo sempre dato per scontato che ogni generazione sarà più sana e più longeva di quella precedente”, ha spiegato la Crimmins. “Tuttavia, la riduzione della morbosità può essere illusoria quanto l’immortalità.”
Un maschio di 20 anni nel 1998 poteva aspettarsi di vivere altri 45 anni senza almeno una delle principali cause di morte: malattie cardiovascolari, cancro e diabete. Tale numero è sceso a 43,8 anni nel 2006. Per le donne giovani, gli anni previsti senza malattie gravi sono scesi da 49,2 a 48 negli ultimi dieci anni.
Abbiamo impedito la morte causata dalle malattie ma abbiamo fatto poco per eliminare o ritardare l’insorgenza di malattie, commenta la Crimmins.
Obesità, diabete, malattie cardiovascolari sono in costante aumento. Si vive di più perché la medicina ci consente di (con)viverci. Risultati notevoli, non c’è dubbio, ma andrebbero fatti più sforzi per sconfiggerle le malattie o almeno per investire maggiormente nella prevenzione, senza dubbio il modo migliore per ritardare la morte e prolungare la vita, restando più a lungo possibile vivi e sani.
[Fonte: Crimmins and Beltrán-Sánchez. “Mortality and Morbidity Trends: Is There Compression of Morbidity?” Journal of Gerontology]