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Un’incognita chiamata preeclampsia

La diagnosi di preeclampsia è spesso incerta, perché la valutazione della proteinuria tramite raccolta delle urine delle 24 ore presenta non poche complicazioni e limitazioni, e molte donne arrivano al parto prima di averla completata in modo affidabile. Secondo una revisione sistematica appena pubblicata sul British Medical Journal, però, la valutazione del rapporto proteine/creatinina rappresenta un’alternativa ragionevole per escludere una proteinuria superiore a 0,3 grammi al giorno, e con essa la diagnosi di preeclampsia.

 Oltre otto milioni di donne vengono colpite ogni anno da questa complicanza, con una percentuale di rischio stimata globalmente tra il 2 e l’8% di tutte le gravidanze (in Italia l’incidenza è inferiore) Gli esiti variano molto in base al contesto: la mortalità, in particolare, è dello 0,72% nei Paesi industrializzati, ma sale addirittura al 5,2% nei Paesi in via di sviluppo, a riprova del fatto che esistono strumenti efficaci per prevenirla e limitarne le conseguenze.

Tra gli strumenti da tempo in uso, la valutazione della proteinuria tramite raccolta delle urine delle 24 ore è senz’altro il più accreditato, anche se non privo di pecche: scrivono Anne-Marie Coté del Women’s Hospital and Health Center di Vancouver, in Canada e i suoi colleghi canadesi e australiani

“si considera come termine di paragone tradizionale per la quantificazione della proteinuria in gravidanza, quando il valore considerato significativo è una proteinuria di almeno 0,3 grammi al giorno. Però le urine devono essere refrigerate e la raccolta richiede una notevole accuratezza da parte della donna e del personale medico, perché in caso di approssimazioni il risultato può essere ingannevole”.

 Tra le alternative prese in esame ci sono la raccolta per un periodo inferiore di tempo (2, 4, 8, o 12 ore), gli stick rapidi delle urine, o la misurazione unica (spot) del rapporto tra proteine e creatinina come pure quella del rapporto tra albumina e creatinina. Se la raccolta “breve” presenta limitazioni analoghe a quella sulle 24 ore, gli stick rapidi si sono dimostrati poco sensibili e poco specifici.

Quanto alle misurazioni dei due rapporti, il gruppo di ricercatori ha consultato la letteratura pubblicata tra il 1980 e il 2007 individuando 13 studi, condotti su un totale di 1.214 donne ipertese. La rielaborazione dei dati di sensibilità e specificità (presenti in 9 studi) ha permesso di concludere che il rapporto tra proteine e creatinina costituisce un ragionevole test di esclusione, mentre i dati sull’altro rapporto presenti in letteratura non sono sufficienti per valutarne l’applicabilità. Si chiedono Lucy Chappell e Andrew Shennan del King’s College di Londra nell’editoriale di accompagnamento

“La proteinuria è un dato chiave nella gestione della preeclampsia, ma le attuali valutazioni cliniche sono tutt’altro che perfette. Come possiamo migliorare questa situazione? Coté e colleghi concludono che il test è utile per escludere una proteinuria significativa ma non ne raccomandano l’uso per la sua quantificazione. Tuttavia la quantificazione non è cruciale per gli ostetrici, perché una volta che la soglia è superata viene fatta la diagnosi. La chiave consiste nell’escludere la proteinuria, e il rapporto tra proteine e creatinina si comporta bene in questo senso. La rilevazione di una proteinuria superiore alla soglia in una donna gravida con ipertensione permette di differenziare tra un’ipertensione gestazionale relativamente innocua e la preeclampsia, e impone un considerevole aumento della sorveglianza, che spesso comprende il ricovero. Le ripercussioni sociali e finanziarie per la donna e le conseguenze economiche per il sistema sanitario sono considerevoli”.