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Cuore ha bisogno di sette ore di sonno a notte

Il cuore ha bisogno di sonno. Per evitare che il rischio di disturbi cardiaci aumenti, è necessario dormire almeno sette ore a notte.
La vita frenetica, oberata di impegni e di scadenze da rispettare ci impone spesso ritmi assurdi, che condizionano anche la qualità del nostro sonno, riducendo spesso drasticamente il numero di ore dedicate al riposo notturno.

Ebbene, sul fatto che dormire poco sia deleterio per la salute sono state compiute numerose ricerche, dimostrando come lo scarso sonno sia nocivo per la linea, nonchè impedisca all’organismo di ristorarsi e di rigenerare la mente.
L’ultimo studio, in ordine di arrivo, dedicato all’importanza del sonno si è concentrato sugli effetti del riposo notturno sul benessere del cuore.


Ad effettuare la ricerca, pubblicata sulla rivista di divulgazione scientifica Archives of Internal Medicine, è stato lo scienziato Kazuo Eguchi dell’università giapponese di Jichi a Tochigi.
A quanto si evince dai risultati ottenuti dal ricercatore, il muscolo cardiaco necessita, per lavorare bene, di almeno 7 ore e mezzo di sonno per notte.
Su un campione di persone poste sotto osservazione, studiandone le abitudini di vita, ad essere più a rischio di sviluppare patologie cardiache erano proprio i soggetti che dormivano meno di sette ore a notte, complice anche l’insorgenza di ipertensione.

A confermare questa evidente associazione tra scarso sonno e cardiopatie, anche uno studio italiano compiuto dal dottor Pantaleo Giannuzzi, dell’Associazione Nazionale Medici Cardiologi Ospedalieri di Firenze, pubblicato sulla stessa rivista.
A quanto pare cambiare abitudini per i malati di cuore e per i pazienti che hanno subito un infarto del miocardio può rivelarsi di fondamentale importanza per evitare pericolose ricadute e nuovi arresti cardiaci.
Tra le cattive abitudini da migliorare, viene enumerato proprio il numero di ore di sonno insufficienti a far riposare correttamente l’organismo e dunque anche il cuore. L’aumento del riposo notturno nei pazienti cardiopatici è stato determinante nell’abbassare il rischio di nuovi attacchi.