Burbero, scontroso, introverso, più concentrato sulla malattia che è fondamentale curare che sul paziente, il dottor House, eroe dell’omonimo telefilm, è diventato un esempio per molti medici. In un recente studio, Barron Lerner, del Columbia University Medical Center, ha disegnato l’identikit del medico ospedaliero affetto dalla Sindrome del Dr. House.
II medico, attratto maggiormente da una diagnosi complessa, finisce col dedicare meno tempo, meno energia e poca cortesia ai pazienti la cui diagnosi è semplice e facilmente individuabile e curabile. Il medico viene totalmente assorbito da un caso solo se non riesce a venirne subito a capo. Per chi soffre della sindrome del Dottor House quello che conta non è il malato ma la malattia…”.
Lerner sostiene infatti che nella maggior parte dei casi il malato si sente più sicuro se sa di avere una malattia che fa dannare i medici, piuttosto che un problema la cui diagnosi e terapia sono belle e fatte. In Italia, la nuova generazione di medici ospedalieri, a volte figlia della televisione e condizionata dalle fiction a carattere medico, sembra avere dimenticato la frase di Ippocrate “La medicina è fatta di tre cose: la malattia, il paziente e il medico; quest’ultimo è il servo dell’arte“.
Nei reparti ospedalieri non è raro assistere a scene in cui il medico si rivolge ai parenti dei pazienti con fare supponente, infastidito dalle domande sullo stato di salute dell’ammalato, come se queste legittime preoccupazioni fossero un imperdonabile tentativo di “rubargli la scena” e di giudicare il suo operato. Per decenni il medico di famiglia è stato una figura rassicurante e paterna, un confidente a cui raccontare malanni fisici e drammi esistenziali.
Tuttavia è innegabile che nel corso degli anni il Sistema sanitario nazionale è cambiato molto, così come la figura del medico di famiglia, il quale, sovente, ha un ruolo secondario rispetto allo specialista. E’ il medico di base che deve curare, lo specialista deve intervenire solo in seconda battuta, altrimenti, l’antico confidente, sarà relegato davvero a fare il “prescrittone”, e quando un giorno i certificati di malattia si faranno per e-mail non avrà più alcun motivo di esistere.
Come sono cambiati i dottori sono cambiati pure i pazienti: siamo tutti meno disposti ad affidarci completamente al medico di base, abbiamo la pretesa di capire per cosa soffriamo e perché dobbiamo seguire una determinata cura. Vogliamo essere ascoltati e partecipare alla soluzione dei nostri mali. Il dilagare delle enciclopedie mediche, allegate in omaggio alle riviste, le trasmissioni televisive scientifiche, le fiction come Dott. House, E.R, Pronto Soccorso – solo per citarne alcune – ci hanno indotto a credere di essere tutti Medici e di potere discutere a pari livello con chi ha dedicato anni di studio e di pratica alla nobile professione; stiamo vivendo un delirio di onnipotenza che non ci differenzia molto da quei professionisti affetti dalla “Sindrome del Dott House”, prova ne è che il 41° rapporto CENSIS cita testualmente:
Gli italiani, in virtù di una più elevata scolarizzazione e della sempre maggiore diffusione di conoscenze sanitarie mettono sempre più frequentemente in discussione la secolare asimmetria di rapporto con il loro medico. La ridefinizione dei termini del rapporto ha prodotto un clima di incertezza e crisi.
Oppure, in riferimento al senso d’impotenza verso il Sistema Sanitario, riporta:
Il 97% degli italiani ritiene che gli errori medici rappresentino un problema molto o abbastanza importante nel Paese.