C’è un’origine chimica nel disturbo da deficit dell’attenzione e iperattività (DDAI o ADHD, l’acronimo inglese). Lo ha stabilito per la prima volta uno studio del Brookhaven National Laboratory di New York. che si è avvalso delle tecniche di visualizzazione dell’attività cerebrale (brain imaging). La ricerca, pubblicata sul giurnal of American Medical Association, ha dimostrato che i pazienti che soffrono di deficit di attenzione e iperattività hanno livelli più bassi rispetto alla normalità di alcune proteine essenziali per sperimentare la motivazione e la ricompensa. Ha commentato Nora Volkow, prima autrice dello studio
“un passo importante nella cura del deficit dell’attenzione e iperattività perché spiega alcuni sintomi clinici del disturbo, come la mancanza di motivazione e anche la propensione di questi soggetti ad abusare di droghe e a diventare obesi, perché tendono a cercare compensazioni”
Il team della Volkow ha analizzato 53 adulti con ADHD che non avevano mai ricevuto alcuna terapia farmaceutica e 44 adulti in salute. Hanno misurato tramite Pet (tomografia con emissioni di positroni) i marcatori del sistema doparninico, regolatore dell’umore, in particolare due proteine, dopamina recettori e trasportatori, senza i quali la dopamina non può funzionare concretamente, e cioè non è in grado di influenzare l’umore. I pazienti con ADHD hanno mostrato bassi livelli di entrambe le proteine nelle due aree conosciute come nucleo accurribens e medio cervello, responsabili delle emozioni e delle sensazioni di motivazione e ricompensa.
I disturbi dell’attenzione e iperattività, secondo l’Istituto Superiore della Sanità, hanno una prevalenza dell’1 per cento nella popolazione compresa tra i 6 e i 18 anni, elementi alla base delle recenti scoperte scientifiche. Eppure, non tanto tempo fa si arrivò a risultati straordinari con mezzi e sistemi estremamente semplici. Ed è proprio la semplicità, unita a una buona dose di curiosità, il tema centrale di I dieci esperimenti più belli (Bollati Boringhieri) scritto da George Johnson, divulgatore scientifico americano e collaboratore del New York Times. Un libro divertente dove vengono raccontati quelli che, secondo l’autorevole parere di Johnson, sono gli esperimenti più belli, fatti da Galileo. Newton, Millikan. Tutti eseguiti con strumenti spesso improvvisati se non addirittura casalinghi, ma che hanno dato risposte e risultati sorprendenti e, soprattutto, precisi.