Sbagliata la terapia dal medico e il farmaco prescritto, anziché risolvere il problema, si rivela dannoso per il paziente. Un errore che la Suprema Corte di Cassazione ha punito stabilendo un risarcimento che il medico responsabile dovrà versare al paziente. Questo è quanto accaduto a un dottore di Venezia che a seguito di una prescrizione errata ha causato la maculopatia al suo assistito.
Una maculopatia è un danno alla vista conosciuto anche con l’acronimo di AMD. Non provoca cecità totale, ma provoca la sfocatura, o meglio un punto cieco, nella parte dell’occhio responsabile della visione centrale, la macula. Questo ha causato al paziente molti dei problemi che vengono riscontrati da chi viene colpito da questa malattia: difficoltà nel riconoscere i volti, nel fare un lavoro di precisione e problemi quando si legge o si guidala la macchina. Il risarcimento danni dovuto è stato così motivato:
“(…)la responsabilità professionale del medico – ove pure egli si limiti alla diagnosi e alla illustrazione al paziente delle conseguenze della terapia o dell’intervento che ritenga di dover compiere, allo scopo di ottenere il necessario consenso informato, ha natura contrattuale e non precontrattuale. (…) a fronte dell’allegazione, da parte del paziente, dell’inadempimento dell’obbligo di informazione, è il medico ad essere gravato dell’onere della prova di avere adempiuto tale obbligo”.
A nulla dunque è valso il ricorso dei legali del medico teso a dimostrare che non era stato provato che la maculopatia del paziente fosse dipesa dall’assunzione del farmaco prescritto e nemmeno che la prolungata assunzione era da attribuirsi alle disposizioni mediche. Inoltre il dottore è stato costretto a rimborsare le spese sostenute nel giudizio in Cassazione dalla controparte. Sono sempre difficili da definire i rapporti tra paziente e medico e generalmente, quando avviene un contenzioso i tempi della giustizia ordinaria sono molto lunghi. L’associazione no profit AMAMI (Associazione Medici Accusati di Malpractice Ingiustamente) ha cercato di trovare una soluzione a questi “inconvenienti legali” dando la possibilità ai medici e ai pazienti che aderiscono a questo “patto” di giungere a una risoluzione in pochi mesi, anziché dopo qualche anno. Più che accordi preliminari, atti a tutelare entrambe le parti, non bisognerebbe mai dimenticare il buonsenso e sentire sempre diversi pareri medici prima di accettare, anche se ben informati, una cura che riguarda la nostra salute.
[Fonte: AdnKronos]