Gli scienziati potrebbero aver scoperto un modo per raccogliere informazioni sui ricordi immagazzinati seguendo le tracce dei percorsi dei movimenti degli occhi, anche quando un individuo non è in grado (o forse addirittura non vuole) riferire ciò che ricorda. La ricerca, pubblicata sulla rivista Neuron, fornisce una visione interessante sul rapporto tra l’attività nell’ippocampo, movimenti oculari, e sul conscio e l’inconscio della memoria.
L’ippocampo è una regione del cervello critica per il ricordo cosciente di eventi passati, ma il ruolo esatto di questo spazio di memoria rimane controverso. Secondo una teoria, anche se non si riesce a recuperare la memoria, l’ippocampo potrebbe ancora supportare le espressioni della memoria relazionale (ad esempio, la memoria per la co-presenza di elementi nel contesto di una scena o un evento), quando alcuni metodi sensibili e indiretti vengono utilizzati.
Per verificare questa teoria, le dottoresse Deborah Hannula e Charan Ranganath, del Centro di Neuroscienze presso l’Università di California, hanno utilizzato la risonanza magnetica funzionale per esaminare l’attività del cervello mentre cercava di ricordare il viso precedentemente studiato. Durante la scansione, ai partecipanti all’esperimento venivano mostrate tre scene con tre volti diversi, e poi gli veniva chiesto di individuare il volto che era stato associato con ogni scena. I movimenti oculari sono stati monitorati durante l’operazione e hanno fornito una misura indiretta della memoria.
Durante ogni prova, i partecipanti hanno spesso speso più tempo nel guardare il volto che era stato precedentemente associato con la scena memorizzata. Ciò che è più sorprendente è che l’attività dell’ippocampo era strettamente legata alla tendenza dei partecipanti nell’osservare il volto associato, anche quando non sono riusciti ad identificarlo. L’attività nella corteccia prefrontale, una zona necessaria per il processo decisionale, era sensibile o meno quando i partecipanti rispondevano correttamente, grazie ad una sorta di “comunicazione” tra la corteccia prefrontale e l’ippocampo, la quale aumentava nelle risposte corrette, ma non in quelle non corrette.
I risultati potrebbero far luce sul ruolo dell’ippocampo nella memoria e sulla consapevolezza, come suggerisce il fatto che, anche quando le persone non riescono a ricordare un evento passato, l’ippocampo potrebbe ancora sostenere l’espressione della memoria attraverso i movimenti degli occhi. Inoltre, i risultati indicano che, anche quando l’ippocampo sta lavorando, la memoria cosciente può influenzare le interazioni tra l’ippocampo e la corteccia prefrontale.
Una delle implicazioni di tali risultati è che i movimenti degli occhi possono essere utilizzati per valutare indirettamente la memoria e la funzione dell’ippocampo in pazienti con deterioramento cognitivo, bambini o altre persone che potrebbero avere difficoltà con i test di memoria convenzionali. Più interessante è la possibilità che queste misure potrebbero anche monitorare la memoria negli individui non cooperativi, cioè in coloro che dicono di non ricordare un accadimento, ma i cui occhi potrebbero tradirli.
[Fonte: Sciencedaily]