Contrariamente a quanto creduto da molti adulti, spinti in questa direzione spesso anche da film e telefilm provenienti perlopiù da oltreoceano che mostrano incessantemente il clichè dell’adolescente disposto a tutto pur di diventare popolare fra i coetanei, non tutti i ragazzi sono alla spasmodica ricerca di ammirazione e popolarità.
Molti si fanno “bastare” l’appartenenza a un piccolo gruppo di coetanei con i quali condividere uno scopo o un progetto e, attraverso di essa, esprimere la propria personalità e trarre un adeguato senso di accettazione sociale. A dimostrarlo uno studio condotto da Kathleen B. McElhaney, Jill Antonishak e Joseph P. Allen della University of Virginia e pubblicato sull’ultimo numero della rivista scientifica bimestrale Child Development.
Lo studio ha coinvolto 164 adolescenti di diversa provenienza sociale, intervistati prima a 13 e poi a 14 anni, la cui popolarità nel gruppo dei pari è stata valutata mediante interviste rivolte ai loro amici più cari dello stesso sesso. Per quelli tra loro che mostravano uno sviluppo più equilibrato non essere particolarmente popolari non incideva negativamente sulle funzioni sociali.
In altre parole i ragazzi dotati di una maggiore autostima non hanno bisogno di essere riconosciuti come i più popolari per “riuscire”: per questi ragazzi non ha molta importanza essere riconosciuti come leader e piacere a tutti (ammesso che questo sia possibile) e a tutti i costi, ma “trovare il proprio posto nella società” e ricoprire un ruolo comunque apprezzato, anche se ciò non comporta il fatto di primeggiare o apparire migliore di altri. Mentre lo stesso non può dirsi per i ragazzi più isolati e visti con ostilità.
In questo processo, come sottolinea Kathleen B. McElhaney, una delle autrici dello studio, ha molta importanza l’appartenenza a un gruppo di persone scelte in autonomia, ed è fondamentale che tale appartenenza sia costruita su uno scopo o ad un progetto comune.