A tutti coloro che soffrono di uno scompenso cardiaco cronico, la notizia non farà certo piacere: le statine, i farmaci anti-colesterolo più popolari, non fanno nulla. Nè un giovamento nè un danno: semplicemente, non hanno influenza su indici importanti quali il tasso di mortalità.
I derivati dell’olio e del pesce, invece, riescono ad incidere e, seppur in minima parte, a diminuirla. Questa la sentenza emessa dagli ultimi due studi recentemente pubblicati su “Lancet” dai cardiologi italiani del gruppo Gissi, che da anni studiano ogni possibile sfaccettatura delle principali malattie cardiovascolari e della loro prevenzione.
Nel primo dei due studi oltre 4500 pazienti sono stati randomizzati a ricevere dieci milligrammi di rosuvastatina al giorno, oppure un placebo insieme alla terapia per lo scompenso; dopo quasi quattro anni non era emersa alcuna differenza tra i due gruppi nè sulla sopravvivenza nè sul numero di ricoveri per cause cardiovascolari, per ictus, infarti nè su quello di morti per arresto cardiaco.
Neppure era emerso alcun miglioramento clinico analizzando diversi sottogruppi di malati con caratteristiche simili. Nel secondo studio dei due, quasi 7 mila pazienti sono stati randomizzati a ricevere un grammo al giorno di acidi grassi polinsaturi (Pufa) o un placebo, oltre alla terapia per lo scompenso; alla fine i decessi in generale sono scesi dal 29% del gruppo di controllo al 27% di quello di trattamento e, in misura simile, sono diminuiti i ricoveri e i decessi attribuibili alle patologie cardiovascolari.
Sia le statine che i Pufa si sono confermati sicuri, ma la cosa in sè non pare essere sufficiente. Secondo gli studiosi autori della ricerca, infatti, i risultati ottenuti lasciano parecchi dubbi e pongono interrogativi importanti circa l’impiego delle statine in coloro che accusano sofferenze di scompenso.