Manca poco per “festeggiare” il primo anno di vita del virus A H1N1, e forse, visti i dati in regressione in tutto il mondo, probabilmente non arriverà nemmeno a spegnere l’unica candelina sulla torta, ma finalmente l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha reso note le cifre ufficiali. Non solo il numero di decessi e di contagi, ma anche dal punto di vista economico.
Come dice un vecchio adagio, a pensar male si fa peccato, ma molto spesso ci si azzecca. In molti hanno pensato che questo allarmismo era stato creato per far arricchire le case farmaceutiche. Oggi sappiamo che mentre l’influenza suina è la più leggera della storia, è stata anche quella che ha fatto fruttare più guadagni a chi produceva i medicinali per combatterla, come il Tamiflu, ma soprattutto per chi ha prodotto i vaccini. Secondo Big Pharma, il virus ha fatto entrare nelle casse delle case farmaceutiche 20 miliardi di euro in soltanto 6 mesi, cifre astronomiche, specialmente se pensiamo che la gran parte dei pagamenti sono stati fatti “sulla fiducia”, prima ancora di sapere quando il vaccino sarebbe stato pronto o se fosse efficace. Dopo il salto tutti i numeri.
La pandemia peggiore degli ultimi anni è stata senza dubbio l’influenza aviaria, con il 60% di tasso di mortalità. Una epidemia pericolosa ma che per fortuna si è fermata subito, ma che qualche scienziato improvvisato aveva paragonato, all’inizio, a quella suina. Prima ancora c’è stata la spagnola (2%), o la normale influenza stagionale che causa lo 0,2% di morti, o in termini assoluti, 500 mila. L’influenza suina ha un tasso di mortalità dello 0,018%, meno di 10 volte rispetto a quella normale, con 9.596 decessi, 142 in Italia su oltre tre milioni e mezzo di malati. E questi sono in costante calo in quasi tutto il mondo.
Il picco è passato. Anche se, naturalmente, non bisogna abbassare la guardia
spiega Giovanni Rezza, direttore del reparto malattie infettive dell’Istituto superiore di sanità. Ma qualcuno dovrà recitare il mea culpa. Addirittura la stessa Oms ha aperto un’inchiesta interna per accertare se qualcuno aveva un conflitto d’interessi, o fosse stato coinvolto dalle case farmaceutiche per trasmettere la “paura” dei mesi scorsi. Una paura che si è rivelata la più fruttuosa delle industrie, visto che molte nazioni, Italia compresa, hanno pagato qualsiasi cifra per assicurarsi milioni e milioni di dosi già ad agosto, quando il vaccino ancora non esisteva.
Noi poi abbiamo fatto come al solito la nostra parte, pagando più di tutti. Mediamente ogni nazione pagava circa 5 euro a dose di vaccino, l’Italia ha pagato 7 euro a dose, chissà perché. Ma alla fine dei conti, in nessuno dei Paesi che hanno fatto incetta di vaccini si è mai raggiunto nemmeno un quarto della popolazione vaccinata. Ed ora che farsene? Francia, Germania, Gran Bretagna e alcuni Paesi scandinavi stanno già “svendendo” a metà prezzo il surplus di vaccini ai Paesi poveri, almeno per rientrare in parte nelle spese. L’Italia ancora non ci ha pensato, ma ha pensato di donarne il 10% ad alcuni Paesi africani. Va bene il gesto umanitario apprezzabile, ma siccome la gran parte delle dosi verrà gettata, perché non tentare di venderle?
[Fonte: Repubblica]