L’anestesia praticata nei neonati o nei bambini piccoli può portare negli stessi a difficoltà di apprendimento, problemi cognitivi e disturbo dell’attenzione. Una ipotesi ancora non suffragata da riscontri umani ma che, nonostante il modello animale, sta portando a riflettere il mondo della medicina.
Questo perché lo studio ha riguardato i primati, quella categoria di animali molto simili per patrimonio genetico all’uomo.
Va detto, in alcuni casi non si può proprio evitare che un bambino venga sottoposto ad anestesia a causa di patologie che per la loro natura necessitano di un intervento chirurgico per il miglioramento o la risoluzione della condizione. Ed è risaputo che in qualche modo l’anestesia mette in “difficoltà” il corpo umano relegandolo per il tempo necessario in un forte stato di incoscienza.
Secondo la dott.ssa Vesna Jevtovic-Todorovic, professore di Anestesiologia e Neuroscienze presso l’Università della Virginia Health System e membro del Consiglio SmartTots Scientific Advisory, che ha coordinato lo studio a riguardo insieme ali colleghi della Mayo Clinic e del Centro Nazionale per la ricerca e tossicologia, vi potrebbe essere un simile legame anche per l’uomo, non solo per il modello animale:
Vogliamo informare le persone che vi è un certo legame nei dati tra l’animale e l’essere umano che si sta affermando rapidamente.
Una preoccupazione nata dopo aver constatato gli effetti dell’anestesia sui neonati di scimmie Rhesus per le quali, dopo la somministrazione di anestesia generale nei momenti considerabili critici per età per ciò che riguarda lo sviluppo del cervello, sono stati riscontrati, in alcuni casi, dei deficit funzionali.
I ricercatori della Mayo Clinic rimarcano il problema, sottolineando come non sia adeguato sottovalutare i risultati presentati. Le conseguenze infatti si sono rivelate patologiche sia sul cervello che sul comportamento. Ci tengono però a ricordare al contempo che sebbene la ripetuta esposizione all’anestesia nei bambini al di sotto dei due anni sia pericolosa, una singola esposizione sembra non essere in grado di creare dei danni permanenti.
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Fonte: La Stampa