Un mondo di difficoltà, di solitudine, di depressione, di mobbing nei confronti di neomamme o donne in stato di gravidanza. E’ quello che ci sta raccontando da qualche anno la regista Silvia Ferreri, con il suo documentario, poi libro ed oggi blog “uno virgola due”. I dati Istat ci raccontano che le donne abbandonano il lavoro perché non riescono a conciliarlo con i figli.
Ma la giovane donna non si è fermata all’apparenza delle cifre, ha voluto andare oltre: i dati Istat-Cnel a cui ha fatto riferimento erano quelli del 2004. Il tasso di natalità italiano: 1,2 ovvero meno delle tartarughe giganti in via d’estinzione (oggi siamo arrivati all’1,3 grazie alle nascite di bambini stranieri).
Silvia non capiva bene alcuni passaggi: se almeno un figlio si fa, significa che il desiderio di maternità nelle donne italiane esiste! Decade il concetto della donna moderna che non vuole sacrificare la carriera per i figli. Poi, sarà anche vero che non esistono strutture adeguate a supportare la donna lavoratrice, ma un tasso di natalità così basso le sembrava troppo. Scopriva così tra le sue conoscenze, che il desiderio di avere bambini c’era, ma non bisognava spargere la voce: i datori di lavoro non gradivano. Come mai questi timori?
La legge italiana sulla tutela della maternità è tra le migliori al mondo! Rileggendo la pubblicazione Istat-Cnel la Ferreri ha scoperto alcuni dati in più: il 14% delle donne a cui la ricerca aveva fatto riferimento, nel giro di un anno avevano volontariamente abbandonato il lavoro ed il 6% erano state licenziate. Occorreva andare oltre, capire e dare voce a questa situazione, perché abbandonare se fino al compimento di un anno del bambino si possono avere dei periodi di aspettativa in parte anche retribuiti?
E come è possibile il licenziamento di 6 donne su 100 quando la legge lo vieta assolutamente? Dalle risposte, il suo lavoro: appunto “Uno virgola due”. Storie di donne: testimonianze di lettere di dimissioni firmate in bianco al momento dell’assunzione (cose che avvenivano circa 50-60 anni fa!) e tirate fuori dal cassetto al momento della gravidanza. Un ispettorato del lavoro tenuto a controllare l’eventuale coercizione, che non si è mai fatto vivo. Ma anche e soprattutto storie di mobbing, di quell’ aggressione psicologica e verbale che in ufficio ti porta all’isolamento, all’umiliazione, al dolore più grande, perché la donna viene colpevolizzata e maltrattata solo perché ha fatto la cosa più naturale e bella del mondo: diventare mamma.
Mobbing che ti distrugge psicologicamente e annulla la gioia della maternità nel suo culmine, quello iniziale, della scoperta, portando a volte alla depressione e all’uso degli psicofarmaci nel tentativo di non cedere al ricatto psicologico, di dare le dimissioni. Contesti che certo non giovano al rapporto madre-figlio. Sicuramente qualche donna in carriera fa la sua scelta, rispettabilissima.
Di certo conciliare lavoro e maternità è arduo. Ma non diamo la colpa solo a queste cose. Esiste una legge perfetta che non è applicata e quando si arriva ad una causa legale, si rischia di aspettare anni per veder riconosciuti i propri diritti, a volte peggiorando così il proprio stato psicologico. La regista Silvia Ferreri è diventata mamma lo stesso. Non si è fatta scoraggiare. Ora dal suo blog raccoglie storie, quelle di madri che hanno rinunciato al lavoro. E voi?