Nonostante ilselenio abbia molte proprietà positive, può rivelarsi dannoso per chi ne assume già abbastanza nella propria abituale dieta (tra cui gran parte della popolazione dei cosiddetti “paesi ricchi”), poichè aumenterebbe il rischio di sviluppare il diabete di tipo 2. A sostenerlo, è uno studio britannico pubblicato su “The Lancet”.
Il selenio è un micronutriente essenziale, naturalmente presente in piccole quantità negli alimenti, ed è necessario per una buona salute. La carenza di questo minerale è spesso collegato a un aumento del rischio di morte causato da un impoverimento della funzione immunitaria, oltre che a un rapido declino cognitivo.
Molti studi hanno confermato i benefici del selenio, che grazie alle sue proprietà antiossidanti è in grado di prevenire patologie croniche quali tumori e malattie cardiache, proteggendo le cellule dagli effetti dei radicali liberi. Inoltre, è essenziale per il normale funzionamento del sistema immunitario e della ghiandola tiroidea.
Gli alimenti vegetali sono le prinicipali fonti di selenio, ma si trova anche in alcuni tipi di carne e pesce. La dose giornaliera raccomandata, è poco più di 50 microgrammi.
Come ha spiegato Margaret Rayman, ricercatrice presso la University of Surrey Guilford e autrice dello studio britannico:
L’assunzione di selenio varia enormemente in tutto il mondo. Stime indicano che sia molto alta in Canada, Stati Uniti e Giappone, e leggermente più bassa in Europa. Gli integratori non fanno altro che aggiungere nutrienti laddove spesso sono già presenti a livelli più che sufficienti.
Riguardo al rischio di aumento di diabete di tipo 2 connesso a un diffuso utilizzo degli integratori, ci sono state numerose evidenze, e i risultati ottenuti da questa ricerca confermano che il selenio sia utile solo quando l’assunzione è effettivamente inadeguata. Inoltre, è emerso come a giocare un ruolo chiave nella buona riuscita dell’uso degli integratori, ci sia l’interazione tra l’assunzione di selenio e il profilo genetico del paziente, poiché potrebbe esserci una recettività maggiore o minore delle selenoproteine a seconda degli individui.
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