Mangiare pesce azzurro ed assumere le giuste dosi di omega 3 fa bene alla salute cardiovascolare allontanando lo spettro dell’ictus. La stessa cosa, secondo un team internazionale di ricercatori guidati dal dottor Rajiv Chowdhury dell’Università di Cambridge e dal professor Oscar H. Franco della Erasmus MC di Rotterdam, non si può dire degli integratori di omega 3, ritenuti totalmente inutili a scopo preventivo.
La prevenzione dell’ictus passa quindi attraverso il consumo di pesce azzurro come sgombri, sardine, alici: cibi pieni di questo acido grasso importante per il nostro organismo e non dall’olio di pesce e dalla sua somministrazione sotto forma di integratore. Lo studio di tipo revisionale che è stato condotto dagli scienziati e pubblicato sul British Medical Journal ha evidenziato come una riduzione del rischio di comparsa dell’ictus possa essere archiviata solo consumando direttamente l’alimento. Nel corso di questa ricerca sono stati posti sotto analisi circa 38 studi condotti in tutto il mondo sull’ictus e la sua prevenzione per tentare di trovare, e valutare l’effettiva corrispondenza tra il consumo di pesce e la protezione da episodi ischemici ai danni del cervello. Si è deciso di analizzare un campione molto ampio composto sia da persone malate o a rischio di patologie cardiovascolari, sia persone sane per un numero di individui pari circa ad 800mila.
Comparando i dati i ricercatori hanno stabilito che coloro che mangiavano da a 2 a 4 porzioni di pesce azzurro alla settimana presentavano un significativo, anche se moderato, calo del rischio di incorrere in un ictus pari al 6%. Numero che raddoppiava in coloro che ne mangiavano più di 5 porzioni. Numeri che confermano ancora una volta l’efficacia dell’assunzione degli acidi grassi omega 3. La ricerca ha però contestualmente evidenziato che lo stesso effetto non si ottiene con i semplici integratori. A quanto pare l’effettività del beneficio dell’acido grasso deriva dalla combinazione con le altre sostanze presenti nel pesce e quindi nella forma originale degli omega 3.
Fonte | BMJ
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