E’ possibile prevedere il rischio di parto cesareo a termine in base alla lunghezza della cervice uterina misurata nelle fasi intermedie della gravidanza. Lo afferma uno studio pubblicato da Gordon Smith e colleghi sul New England Journal of Medicine. Nei Paesi sviluppati il numero di parti cesarei è cresciuto notevolmente negli ultimi anni. In Italia, per esempio, nonostante la maggior parte delle donne riferisca di preferire il parto naturale, il numero di cesarei è triplicato nel giro di vent’anni: si è passati infatti dall’11% circa del 1980 al 33% circa nel 2004. Ma quali sono le motivazioni cliniche che spingono i medici a optare per un parto cesareo a termine in donne primipare?
La principale è senza dubbio la distocia, ovvero le difficoltà che insorgono durante la progressione del travaglio e per le quali sono stati identificati diversi fattori di rischio: obesità, età avanzata della madre e parto dopo la quarantesima settimanali. Circa l’80% degli interventi cesarei intraparto (ovvero decisi a travaglio già iniziato) viene effettuato a causa di una progressione non corretta della dilatazione cervicale e a mancanza di contrazioni, a volte associata a sofferenza fetale. In particolare è noto che la cervice uterina subisce dei cambiamenti tipo fisiologico e biochimico nelle settimane precedenti l’inizio del travaglio e, per esempio, una cervice corta nelle fasi intermedie della gestazione è associata a un aumento del rischio di parto prematuro.
Lo studio britannico ha coinvolto poco meno di 27.500 donne primipare e ha dimostrato che il rischio di parto cesareo a termine aumenta all’aumentare della lunghezza della cervice uterina, misurata mediante ecografia transvaginale alla 23esima settimana di gravidanza (età gestazionale media). Entrando nel dettaglio dei risultati, emerge che il rischio è quasi doppio per le donne con cervice uterina di lunghezza compresa tra 40 e 67 mm rispetto a quelle con cervice di lunghezza compresa tra 16 e 30 mm.
Inoltre, dopo specifiche correzioni per caratteristiche quali età della madre, indice di massa corporea, abitudine al fumo, gruppo etnico di origine ed età gestazionale alla nascita, l’associazione è rimasta significativa, anche se leggermente più debole. Servono ora ulteriori studi per verificare l’ipotesi che una cervice lunga a metà della gravidanza sia indicativa di problemi nello sviluppo funzionale dell’utero, che si traduce spesso in un parto cesareo a termine. Se il dato venisse confermato, si avrebbe per la prima volta uno strumento efficace per identificare precocemente le donne a rischio di cesareo e per favorire la corretta progressione del travaglio con terapie farmacologiche.