Nell’Impero del sol levante il lavoro uccide, e non solo a causa delle nefaste conseguenze dello stress, indotto da orari e turni di lavoro estenuanti che i nipponici devono normalmente affrontare: a togliersi la vita sono gli stessi dipendenti schiacciati dalla pressione psicofisica cui sono sottoposti. Un fenomeno che miete 5000 vittime l’anno cui è stato dato il nome di Karoshi ovvero “morte da troppo lavoro”.
A raccontare la storia di uno di questi sfortunati lavoratori Misako Hida, giornalista freelance giapponese, che con l’articolo, intitolato “The Land of Karoshi”, ha vinto il prestigioso premio giornalistico “Media for Labour Rights”, conferitole dal Centro internazionale di formazione dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro, che ha sede a Torino.
Yuji Uendan, aveva solo 23 anni quando decise di togliersi la vita nel Marzo del 1999. Nei sedici mesi precedenti aveva lavorato come ispettore di produzione per la Nikon affrontando 250 ore lavorative al mese e dividendosi fra turni di 11 ore (anche di notte) e trasferte. Negli ultimi tempi lavorava anche 15 ore di fila al giorno, aveva cominciato a soffrire di insonnia e perso oltre 13 kg di peso .
Annientato da tutto ciò si è tolto la vita nel suo appartamento in provincia di Tokio. Sulla lavagnetta che usava per segnare i propri appuntamenti ha lasciato scritto: “tutto il tempo che ho investito nel lavoro è stato tempo sprecato”. La madre ha chiesto e ottenuto il risarcimento per la sua morte.
Il primo caso di Karoshi documentato in Giappone risale al 1969 con la morte per infarto di un uomo di 29 anni che lavorava nel reparto spedizioni di un grande quotidiano. Ma dalla morte per i danni causati dallo stress prolungato si è passati al suicidio. La causa è da ricercarsi proprio nelle difficili condizioni di lavoro cui sono sottoposti i lavoratori nipponici, infatti, secondo le ultime stime dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro, il Giappone detiene il primato, non proprio felice, dei dipendenti che lavorano oltre 50 ore a settimana (28,1%), contro il 10% di quelli della gran parte dei paesi dell’unione europea.