La sindrome di Barth potrebbe essere vicina ad ottenere una cura. A rivelarlo sono i ricercatori dell’ateneo americano di Harvard che sembrano essere arrivati ad una svolta nell’approccio a questa rara malattia genetica che colpisce il cuore dei più piccoli.
I medici italiani del CNR di Pavia, in onore di del personaggio comico portato sullo schermo da Giacomo Poretti, “Tafazzi”, chiamarono la proteina da loro scoperta e causa di questa malattia “tafazzina” dopo averla individuata. Ora gli scienziati statunitensi sono davanti ad un ulteriore step della ricerca nei suoi confronti. Sono infatti riusciti a riprodurre la malattia su un chip ed a d aprire anche in questo caso, come già avviene per diverse altre patologie, la strada alla medicina personalizzata. Un modo per studiare con facilità la malattia nei singoli individui che ne sono affetti, arrivando in questo modo addirittura a poter testare più farmaci nello stesso momento.
Questo chip possiede un pezzo di tessuto cardiaco coltivato in un chip. Queste cellule del cuore in esso contenuto vengono poi trasformate in staminali che presentano i sintomi della sindrome di Barth sui quali i ricercatori possono lavorare in tutta tranquillità. Questa malattia colpisce in prevalenza i bambini di sesso maschile non consentendo al cuore di contrarsi in modo adeguato. Commenta Kevin Kit Parker, uno dei bioingegneri che lavorano su questo tipo di chip da più di un decennio:
Non puoi capire davvero il significato di una mutazione genetica in una singola cellula finché non costruisci un pezzo di organo e osservi come funziona o non funziona. Nel caso delle cellule cresciute al di fuori dei pazienti con sindrome di Barth abbiamo osservato contrazioni molto più deboli e un irregolare assemblaggio del tessuto. Credo che riuscire a modellare la malattia partendo da una singola cellula e arrivando fino al tessuto cardiaco rappresenti un grande progresso.
Anche perché la speranza è quella di riparare in questo modo il difetto genetico alla base di questa malattia. Lo studio è stato pubblicato sulla rivista di settore Nature Medicine.
Fonte | Nature Medicine
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