Ecco come è stato curato per l’ebola il paziente zero italiano, il medico di Emergency ricoverato allo Spallanzani per ben 39 giorni. Uno studio che riporta il caso è stato pubblicato sulla rivista di settore BMC Infectious Diseases.
Nel testo è stato ricostruito per intero tuttala gestione del paziente, a partire dalle attività svolte fino alle altre patologie diagnosticate, prima tra tutte una polmonite interstiziale che ha avuto un palese effetto sulla prognosi del paziente. Quello che è emerso è che vi è stato un lavoro di squadra funzionante e funzionale alla base della guarigione del medico.
Osservando i parametri clinici registrati, è possibile notare immediatamente che la carica virale dell’ebola scendeva in modo netto subito dopo l’uso dei farmaci sperimentali prescritti dai medici ( plasma di convalescente, favipiravir, anticorpi monoclonali ZMab e melanocotina, N.d.R.), ma che una infiltrazione polmonare bilaterale dovuta ad una polmonite interstiziale rendeva difficile la respirazione del paziente al punto tale di doverlo sottoporre alla respirazione assistita ed alla ventilazione meccanica dal 9 giorno di ricovero. E’ stata proprio la patologia polmonare la complicazione principale dell’infezione contratta dal medico. In quel caso è stato possibile documentare la presenza del virus nel liquido aspirato mentre i livelli nel nel sangue erano sensibilmente più bassi.
I medici concordano che insieme alla terapia sperimentale contro l’ebola al quale il paziente è stato sottoposto a fare la differenza tra la vita e la morte del medico è stata proprio la ventilazione meccanica: è stata questa a dare modo al paziente di sopravvivere il tempo necessario affinché le diverse cure applicate facessero effetto. Motivazione per la quale secondo gli esperti dello Spallanzani la stessa dovrebbe essere applicata come protocollo all’interno dei trattamenti dei pazienti affetti da ebola.
Senza dubbio l’esperienza di approccio a questa malattia è ancora limitata da parte degli operatori sanitari e sono diversi i fattori relativi alla sicurezza da migliorare, ma data la loro esperienza, ad esempio, trattare i pazienti anche per la malaria nonostante la mancanza di dati rilevabili ad essa relativa potrebbe avere un effetto positivo, anche se solo in via precauzionale.
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