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Ansia e attacchi di panico: le nuove frontiere


Gli attacchi di panico, che colpiscono una persona su 75 circa, sono classificati nella categoria più generale dei disturbi d’ansia. Di solito si manifestano durante l’adolescenza o nella prima età adulta e possono avere origini genetiche: se un familiare ha sofferto di attacchi di panico la probabilità di soffrire dello stesso disturbo aumenta, soprattutto in un momento della vita particolarmente stressante. Anche se le cause scatenanti non sono ancora chiare, sembra esistere un nesso con le più importanti fasi di transizione della vita che portano, inevitabilmente, una certa quantità di stress e ansia (come, per esempio, gli esami scolastici e universitari, il matrimonio, il primo figlio, cambiare lavoro o posizione lavorativa, e così via).

L’ansia è una condizione fisiologica utile in molti momenti della vita, che serve a proteggerci dai rischi, a mantenere lo stato di allerta e a migliorare le nostre prestazioni. In realtà non potremmo vivere senza ansia e senza di essa molte emozioni sarebbero più sbiadite, meno intense e suggestive. Pensiamo per esempio, all’incontro con una persona che ci interessa e al corollario di emozioni che accompagna questo evento. L’ansia può essere, quindi, uno strumento, un limite a seconda del modo cui la viviamo.


Tuttavia, quando si verificano situazioni particolari possono manifestarsi disturbi nervosi che gli specialisti hanno suddiviso in sei differenti gruppi: disturbo di panico, disturbo d’ansia generalizzato, fobie, disturbo ossessivo-compulsivo, disturbo post-traumatico da stress e disturbo acuto da stress. Coloro che soffrono di questi disagi sussultano facilmente, sono agitati, irrequieti, molto apprensivi e spesso si tormentano immaginando qualche disgrazia incombente per i loro cari (a volte addirittura la morte). Inoltre, molti pazienti hanno segnalato impazienza, irritabilità, scoppi d’ira, insonnia e distraibilità, dovuti allo stato di continua tensione in cui vivono.

Gli scienziati britannici hanno recentemente bocciato la nuova generazione di antidepressivi serotoninergici (quelli, cioè, che agiscono sul sistema della serotonina, un neurotrasmettitore che aiuta a stabilizzare l’umore) quali la fluoxetina o paroxetina perché sarebbero utili soltanto ad una minoranza di pazienti affetti da depressione grave. Mentre per i casi più leggeri, sostengono i professionisti d’oltre Manica, potrebbe bastare una “chiacchierata“. Ma il professor Giovanni Battista Cassano, ordinario di psichiatria all’Università di Pisa e medico di fama mondiale, ha replicato che la terapia farmacologica in alcuni casi è necessaria e che, per la guarigione, è importante ricorrere sia al supporto farmacologico che alla psicoterapia.

Di fronte ai disturbi di ansia è facile sentire affermazioni del tipo “niente di serio“, “è tutto nella tua testa” o “niente di cui preoccuparsi“, che possono dare l’impressione che non sussista alcun problema reale e che la cura non sia necessaria. Sebbene i disturbi siano, incontestabilmente, evidenti i medici tendono spesso a considerarli esagerati. La stessa cosa avviene per gli effetti segnalati dai pazienti che, magari, accusano la sensazione di morire quando in realtà non sono neppure in pericolo di vita. Sottolinea la dottoressa Manuela Di Rosa, responsabile del CPS (Centro psico sociale) di Gorgonzola (Milano):

“Per la cura è necessario intervenire con una terapia farmacologica associata a psicoterapia, che porta alla guarigione nel 70% dei casi. La maggior parte dei pazienti mostra significativi progressi già dopo poche settimane di terapia e le eventuali ricadute possono essere affrontate efficacemente così come è accaduto con l’episodio iniziale”.